L’anno appena concluso ha segnato una svolta epocale nel sistema delle relazioni industriali sotto l’impulso del “caso Fiat”, che proprio negli ultimi giorni ha fortemente interessato il mondo economico, politico e sociale in Italia e sul piano internazionale. Per ben comprendere la posta in gioco, che non è solo di natura sindacale, ma anche politica e culturale, è opportuno riepilogare gli eventi dell’ultimo anno, che per certi versi ha concluso una stagione iniziata nel 1970 con lo Statuto dei Lavoratori e durata senza sostanziali discontinuità per un quarantennio, pur in un contesto economico e sociale radicalmente mutato: non si è più negli anni del boom economico, ma in quelli della crisi internazionale; si è passati da un sistema produttivo prevalentemente nazionalistico e protetto fino alla possibilità di “aiuti di Stato”, a un sistema globalizzato con manodopera (non solo di basso livello) attingibile da mercati emergenti a basso costo; non si può più parlare neppure di “grandi imprese” puramente nazionali; la logistica, i trasporti e le telecomunicazioni internazionali hanno registrato uno sviluppo enorme; lo stesso comparto industriale non è più centrale nel nostro Paese che si è concentrato nell’ultimo ventennio sul settore del terziario e dei servizi erodendo progressivamente risorse al comparto manifatturiero; il modello classico e generalizzato di “operaio di grande industria” si è notevolmente ridimensionato a favore di milioni di lavoratori “atipici”, di “partite Iva individuali”, di quadri e dirigenti un tempo esistenti in misura irrisoria; molte garanzie giustamente rivendicate e raggiunte dai lavoratori e dai sindacati negli anni Sessanta hanno finito per diventare privilegi.
Nel 2010, dopo anni di crisi e dopo essere stata alle soglie di un possibile default, la Fiat di Sergio Marchionne (che non solo simbolicamente è l’emblema della grande industria italiana) è riuscita a uscire dall’empasse diventando un modello di industria internazionale riconosciuto in tutto il mondo, riscuotendo persino il plauso entusiastico di Obama (icona indiscussa del mondo liberal) che lo scorso luglio a Detroit pronunciava lo storico “grazie Sergio”,benedicendo l’alleanza con la Chrysler (fatto assolutamente inimmaginabile solo pochi anni prima). In questo contesto, la Fiat, dovendo decidere da vera azienda multinazionale le strategie e le localizzazioni produttive del prossimo decennio, ha annunciato la nascita del progetto “Fabbrica Italia”, proponendo per i prossimi anni un investimento di 20 miliardi di euro nel nostro Paese, con una previsione di raddoppio della attuale produzione di veicoli.
Ne è seguita una serrata trattativa con le organizzazioni sindacali sulle sorti dello stabilimento di Pomigliano, che si è conclusa con l’accordo del 15 giugno e con la costituzione della newco “Fabbrica Italia Pomigliano”: a fronte dell’impegno di continuare a investire in tale sito producendo la nuova Panda, la Fiat ha ottenuto dai sindacati firmatari dell’accordo alcune modifiche al Contratto Collettivo dei Metalmeccanici in termini di maggior flessibilità su turni, orari di lavoro, pause e assenteismo (a Pomigliano di molto superiore alla media nazionale, e oltretutto concentrato a ridosso dei fine settimana). A tale modifica contrattuale, tuttavia, hanno aderito Fim, Uilm e Ugl, ma non la Fiom-Cgil, che si è fermamente opposta: è stato quindi proposto un referendum sul nuovo Contratto, che ha visto il voto favorevole del 63% dei lavoratori.
Nel frattempo è iniziata una durissima contrapposizione tra la Fiom e la Fiat, culminata nei fatti di Melfi: in seguito allo sciopero proclamato a luglio presso lo stabilimento lucano e al sospetto “sabotaggio” alla linea produttiva, la Fiat ha licenziato tre operai (due dei quali rappresentanti sindacali Fiom); sull’aspra controversia giudiziaria, tuttora in corso, è intervenuto ben due volte persino il Presidente Napolitano, fatto alquanto singolare, richiamando tutte le parti a un senso di misura e di responsabilità.
Al Meeting di Rimini Marchionne, confermando l’intenzione di Fiat di continuare a investire in Italia per garantire al Paese una grande industria dell’auto e ai lavoratori un futuro più sicuro, ha però affermato che le regole della competizione internazionale impongono una maggiore efficienza e la soluzione delle numerose anomalie che impediscono una regolare attività lavorativa: l’esigenza espressa da Marchionne è quella di avere maggior affidabilità e certezza sui tempi e le condizioni richieste dal mercato, a fortiori in un periodo di crisi e di forte competizione internazionale con il rischio di progressive delocalizzazioni verso l’Europa dell’Est e altri paesi in via di sviluppo.
Si è quindi giunti, il 7 settembre, alla clamorosa disdetta del Cccnl “Metalmeccanici” stipulato nel 2008 con le tre maggiori sigle sindacali, Cgil, Cisl e Uil e in scadenza il 31.12.2011; peraltro già nell’ottobre 2009 solo Cisl e Uil avevano siglato il rinnovo della parte economica dando vita a un “accordo separato”. Si è così aperta per Federmeccanica e Fiat la possibilità di concludere un nuovo Contratto Collettivo che, anche se non sottoscritto unitariamente da tutti i sindacati, e in particolare dal sindacato di “maggioranza relativa”, trovi nuovi meccanismi di applicazione generalizzata ai lavoratori. È stata quindi annunciata da Federmeccanica e Fiat la volontà di creare un Contratto Collettivo Nazionale per il solo “settore auto” (che equivale di fatto a un contratto aziendale per la Fiat), separato dal Cccnl Metalmeccanici.
Il 26 novembre Marchionne ha presentato ai sindacati il piano di rilancio per lo stabilimento di Mirafiori (newco tra Fiat e Chrysler per la produzione di auto e Suv di classe superiore, per un investimento di oltre un miliardo di euro) e ha posto le condizioni ritenute necessarie per la sua realizzazione. Durante l’incontro dell’ad di Fiat con il leader di Confindustria Marcegaglia a New York è stato annunciato che la joint venture non sarà iscritta, almeno temporaneamente, a Confindustria: in questo modo la Fiat ha svincolato la nuova società dall’obbligo di applicare il Contratto Collettivo Nazionale Metalmeccanici, il che ha poi consentito di regolamentare i rapporti di lavoro mediante accordi sottoscritti solo con i sindacati partecipanti alle trattative.
Così, il 23 dicembre è stato siglato a Torino un accordo, da molti definito “storico” per il sistema delle relazioni industriali del nostro Paese, tra Fiat e Fim, Uilm, Fismic, Uglm e l’Associazione Capi e Quadri Fiat: spicca la mancata sottoscrizione da parte della Fiom, che ha lasciato il tavolo delle trattative e ha ritenuto “vergognoso” l’accordo concluso dagli altri sindacati in sua assenza.
La conseguenza dell’uscita di Fiom dall’intesa è clamorosa: con l’approvazione delle nuove regole sulla rappresentanza sindacale aziendale, e dunque con la scelta di non applicare l’accordo interconfederale del 1993 sulle Rappresentanze Sindacali Unitarie (Rsu), ai sensi dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori il sindacato non firmatario non può più nominare le proprie rappresentanze all’interno della nuova società (e dunque esercitare diritti sindacali quali l’indire assemblee o usufruire di permessi sindacali retribuiti), mettendo così a rischio il proprio potere di contrattazione e più in generale di rappresentanza. Si tratta di una conseguenza di portata storica, che esclude di fatto il più grande sindacato dagli spazi sindacali della più grande industria italiana: e ciò facendo puntuale applicazione di quelle stesse regole (in primis lo Statuto del Lavoratori) volute proprio dalla Cgil che nel dopoguerra è stata protagonista indiscussa delle relazioni sindacali in un sistema basato sulla concertazione e sulla sostanziale unità sindacale.
Con il raggiungimento dell’intesa è stato confermato l’investimento Fiat di oltre un miliardo di euro e la produzione di nuovi modelli di alta gamma nei prossimi anni per un totale di 280.000 vetture: è stato così assicurato un futuro allo storico stabilimento torinese che nelle sole carrozzerie occupa 5.500 dipendenti (a cui va aggiunto l’indotto) e con esso la sopravvivenza dell’industria dell’auto nel nostro Paese.
L’accordo diverrà operativo in seguito alla sua approvazione da parte della maggioranza dei lavoratori con un referendum programmato la prossima settimana, secondo il modello di Pomigliano, mentre rimane ancora da definire il contratto nazionale separato per il settore auto (il prossimo incontro tra Federmeccanica e sindacati è fissato per il 24 gennaio), ferma restando per il momento l’uscita della nuova joint venture dal sistema confindustriale. L’accordo del 23 dicembre prevede per la newco l’applicazione di un contratto collettivo specifico di primo livello che ricalca l’attuale Ccnl Metalmeccanici ma con alcune deroghe in materia di orario di lavoro, turni, straordinario, pause, mensa e assenteismo.
Per comprendere la portata del nuovo accordo, su cui si è consumata la definitiva spaccatura con la Fiom, si può osservare che restano confermate le attuali 40 ore settimanali su 10 turni lavorativi; con l’effettivo raggiungimento degli obiettivi produttivi, previa comunicazione alle rappresentanze sindacali, i turni potranno aumentare fino a 17 o a 18 (mediante copertura con le festività e i permessi). A fronte del maggiore impegno richiesto ai lavoratori, la retribuzione verrà aumentata di 4.000 euro lordi l’anno. Si prevede anche una riduzione della durata delle pause per turno (10 minuti) per talune categorie di lavoratori: tale riduzione verrà compensata con 32,50 euro mensili. La pausa mensa, che verrà mantenuta nel corso del turno, in caso di passaggio a 15 o 17 turni potrà essere spostata a fine turno.
Con riferimento al lavoro straordinario, sono concordate 120 ore annuali, che saranno richieste dall’azienda con almeno 4 giorni d’anticipo; i lavoratori, nel limite del 20% dell’organico, potranno addurre esigenze personali per esimersi dalla prestazione. Lo straordinario sarà utilizzato anche per far fronte a picchi produttivi prima di elevare in modo strutturale il regime dei turni.
Per risolvere il problema dell’assenteismo (altissimo nello stabilimento di Pomigliano) la Fiat potrà modificare il regime della malattia previsto nel Ccnl Metalmeccanici se il tasso non tornerà a livelli compatibili con quelli della media nazionale (3,5%) entro un anno dall’avvio della newco. In questa ipotesi si applicherà la seguente disciplina: in caso di malattie brevi (di durata non superiore a 5 giorni), che precedono o seguono festività, ferie o riposo settimanale, ripetute oltre due volte nell’arco dell’anno, dal terzo episodio analogo non verrà riconosciuto per i primi due giorni alcun trattamento economico a carico dell’azienda. Dalla disciplina restano escluse le assenze anche brevi causate da infortunio, da ricovero e da patologie gravi che comportano assenze ripetute (ad esempio, dialisi o malattie cardiovascolari): la istituenda Commissione Verifica Assenteismo definirà i casi in cui la limitazione non verrà applicata, verificando l’auspicato rientro nel tasso di assenteismo “fisiologico”. Per converso, in caso di lunghe malattie, il trattamento economico viene aumentato dal 50% previsto nel Ccnl Metalmeccanici all’80%.
Da ultimo, nell’accordo viene inserita una “clausola di responsabilità” per i sindacati firmatari: in caso di violazione delle nuove regole o di comportamenti mirati a vanificare nei fatti i diritti aziendali (come in caso di scioperi contro l’accordo sottoscritto), la newco sarà liberata dagli obblighi assunti; in tal caso è prevista una verifica preventiva nell’ambito della Commissione nazionale paritetica di conciliazione, che valuti eventuali sanzioni a carico delle sole organizzazioni sindacali inadempienti in materia di contributi e permessi sindacali. Non è quindi in discussione, come invece qualcuno ha incautamente scritto, il diritto di sciopero, peraltro riconosciuto dalla Costituzione.
Alcune norme del nuovo accordo, che si applicherà dal 2012 alla joint venture a Mirafiori, saranno efficaci già quest’anno per Mirafiori Plant Fiat Auto. In particolare, a partire dal prossimo aprile si applicherà il nuovo regime delle pause con relativa compensazione economica e si convertiranno alcune voci retributive in superminimo individuale non assorbibile. Inoltre, nei prossimi 12 mesi avranno luogo due verifiche del tasso di assenteismo con obiettivi rispettivamente del 6% e del 4% (salvo l’obiettivo a regime del 3,5%); ove tali obiettivi non fossero raggiunti entrerà in vigore la regolamentazione delle malattie brevi prevista per la newco.
Sulla scia dell’accordo di Torino, il 29 dicembre è stato sottoscritto tra Fiat e Fim, Uilm, Fismic, Uglm (ancora una volta senza la Fiom) il nuovo contratto per i 4.600 lavoratori di “Fabbrica Italia Pomigliano” che verranno assunti per la produzione della nuova Panda. Nel contratto si prevedono aumenti retributivi mensili (25 euro lordi a regime per tutti i lavoratori e 70 euro per i lavoratori del “terzo livello Erp”) oltre a un aumento medio della paga base di 80-85 euro rispetto al Contratto Nazionale a fronte dell’accorpamento di voci retributive, con un effetto moltiplicatore sugli scatti di anzianità (che verranno azzerati e ripartiranno ex novo). Per effetto della nuova turnazione (da 10 turni si passerà a 18, con attività anche di domenica notte), gli operai turnisti avranno un incremento stimato intorno a 250-300 euro al mese. Nel contratto si prevede inoltre una semplificazione dell’inquadramento professionale, con un passaggio da 7 livelli previsti dal Contratto Nazionale a 5 gruppi professionali, con fasce intermedie che facilitino gli avanzamenti: in conseguenza del nuovo inquadramento, la fascia “terzo livello Erp”, costituita da alcune centinaia di dipendenti con mansioni specifiche, diventerà la prima fascia della nuova quarta categoria.
Come per l’accordo di Mirafiori, per le relazioni industriali viene abbandonato il modello delle Rsu instaurato con l’accordo interconfederale del 1993 con conseguente esclusione della Fiom dalle Rappresentanze Sindacali Aziendali. I sindacati firmatari si sono dichiarati ampiamente soddisfatti per la sottoscrizione del nuovo contratto (Bonanni, leader della Cisl, ha addirittura dichiarato che “il Sud ha bisogno come il pane di accordi come quello di Pomigliano”, e Sgambati, segretario della Uil campana ha definito l’accordo un “sistema di regole moderno, che crea le condizioni per essere competitivi”) e anche il Ministro Sacconi ha rilevato che il contratto, “che nasce da esigenze pratiche e non da disegni ideologici, consolida l’investimento promesso e migliora le condizioni lavorative”. Si è invece ulteriormente radicalizzata l’opposizione della Fiom, che nella stessa giornata ha riunito il proprio Comitato centrale definendo l’accordo di Mirafiori un tentativo di “cancellare in modo definitivo il sistema dei diritti individuali e collettivi nel lavoro” e ha proclamato per il 28 gennaio uno sciopero di 8 ore.
Anche la politica si è spaccata su questa clamorosa vicenda: alcuni esponenti del centrosinistra, tra cui i “torinesi” Fassino e Chiamparino, hanno decisamente applaudito all’accordo, insieme alla maggior parte dell’area ulivista, unendosi al coro unanime del “terzo polo” e del centrodestra. Hanno invece manifestato una fermissima opposizione, parlando addirittura di “ricatto mafioso”, il segretario di Rifondazione Comunista Ferrero, Vendola e una parte del Pd che si sono curiosamente uniti alle forze dipietriste.
Come appare evidente, la durezza e l’ampiezza della spaccatura sindacale, politica e sociale che si è consumata non si giustifica per il contenuto dei nuovi accordi (in sé innovativi più che altro sul piano dei principi e di una limitata maggior flessibilità a fronte di significativi aumenti retributivi): tanto più che, guardando all’oggettivo interesse dei lavoratori, essi consentiranno la creazione di nuovi posti di lavoro e la produzione in Italia di veicoli di alta gamma con notevoli investimenti in impianti ed attrezzature.
Per dirla con quanto scritto da Sapelli su questa testata pochi giorni fa, quel che è in gioco è il principio secondo cui “la rappresentanza è dei lavoratori prima che del sindacato”. Solo a partire da un vero e reale interesse per i lavoratori e da uno sguardo leale sulla realtà economica e produttiva sarà infatti finalmente possibile ripensare senza tabù e pregiudizi ideologici, a oltre quarant’anni dall’approvazione dello Statuto dei Lavoratori, al sistema delle relazioni industriali.
E sarà anche possibile concepire il lavoro (in fabbrica, o nel sempre più vasto mondo degli uffici e delle “collaborazioni”) come una forma di cooperazione con l’imprenditore (pur nel rispetto e nella distinzione dei ruoli) e di operosità e non come un’ostinata contrapposizione ideologica. Il veto accanito della Fiom è sotteso da questa opzione, e fa trasparire al contempo il risentimento per essere stata “messa in minoranza” dopo oltre mezzo secolo di indiscussa egemonia non solo dagli altri sindacati e dalla maggioranza dei lavoratori che hanno votato il referendum, ma prima ancora dall’evidenza della realtà: senza gli accordi tanto osteggiati dalla Fiom, la Fiat, da azienda multinazionale operante in un libero mercato, non avrebbe investito in Italia, con un danno incalcolabile per decine di migliaia di lavoratori e di famiglie, e con un colpo mortale al tessuto produttivo e all’immagine internazionale dell’Italia. E senza una leale collaborazione tra lavoratori e imprese le aziende chiudono o si delocalizzano e alla fine ci perdono tutti: compresa – e ciò è paradossale – quella stessa Cgil che pure da anni proclama teoricamente l’occupazione quale obiettivo prioritario da conseguire.
Per questo l’appello di Natale del Papa agli italiani “perché ogni scelta e decisione sia sempre per il bene comune” ha un’assoluta pertinenza, tutta da riscoprire e declinare anche nel mondo del lavoro. Del resto, come è stato acutamente osservato, “per ricercare il bene della propria parte occorre prima avere presente in bene comune; perché se non si persegue il bene comune è assolutamente irrealistico realizzare anche quello della propria parte”.
Nello specifico ci sono importanti temi da affrontare: l’inevitabile passaggio da un sistema rigido a un sistema più flessibile; lo spostamento del “baricentro” della contrattazione collettiva dal livello nazionale a quello aziendale; il superamento di un sistema di inquadramento e retributivo sostanzialmente “piatto” a un sistema più focalizzato sui meriti e sulle professionalità; la revisione del tradizionale sistema “confederale” della rappresentanza sindacale; la promozione di nuovi modelli di partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese; i temi della produttività e dell’occupazione giovanile rilanciati anche dal Presidente Napolitano nel messaggio di Capodanno.
Si può discutere per slogan e per proclami ideologici contrapposti oppure entrare nel merito delle singole questioni ricercando senza pregiudizi gli assetti più realistici ed equilibrati, tenendo conto di tutti i fattori in gioco. Ognuno è chiamato a fare la sua parte in quest’anno che è appena iniziato.