Di questi tempi, le prime pagine dei quotidiani sono zeppe di analisi e di considerazioni in merito al nuovo redditometro. E si capisce! Il contribuente, sia che paghi correttamente le tasse sia che le evada, è giustamente preoccupato dei criteri con i quali l’Agenzia delle Entrate verifica la correttezza delle dichiarazioni dei redditi. Allo stesso modo, è utile conoscere i criteri con i quali gli Organi ispettivi del Ministero del Lavoro sono chiamati a svolgere la propria attività di vigilanza in materia giuslavoristica. 

Con particolare riferimento alla nuova disciplina in materia di materia di collaborazione coordinata e continuativa a progetto introdotta dalla c.d. riforma Fornero (L. 92/2012), una recente circolare del Ministero (n. 29/2012) ha dettato al personale ispettivo le prime indicazioni operative.

Com’è noto, la legge 92/2012 ha ridisegnato le tipologie di rapporto di lavoro flessibile introducendo vincoli, presunzioni e rigorosi requisiti di legittimità con l’intento di scoraggiare l’uso e la diffusione di tipologie di contratti diversi da quello subordinato a tempo determinato, definito la “forma comune di rapporto di lavoro” dal novellato art. 1 del D.Lgs. 368/2001. In particolare, il Legislatore ha modificato la disciplina dei rapporti di collaborazione a progetto, specificando i requisiti del progetto, le modalità di esecuzione e conclusione, e i criteri di determinazione del compenso da corrispondere al collaboratore. L’art. 69, 1 comma, del D.Lgs. 276/2003, così come modificato dalla nuova normativa, dispone che la mancata individuazione del progetto nel contratto di collaborazione coordinata e continuativa a progetto determina la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato. Il Ministero ricorda, in primis, come il “progetto”, dopo la riforma del mercato del lavoro, rimane l’unico ed indispensabile requisito necessario per la costituzione di validi rapporti di collaborazione coordinata e continuativa sottoscritti successivamente al 18 luglio 2012: ciò in quanto la nuova disposizione non prevede più la possibilità di ricondurre il contratto a progetto ad un “programma di lavoro” o fase di esso. La circolare chiarisce che si deve ritenere illegittima la costituzione del rapporto qualora il progetto sia carente dei requisiti indicati dal primo comma del novellato art. 61 D.Lgs. 276/2003, ovvero non sia ravvisabile il collegamento ad un determinato risultato finale, l’attività coincida con l’oggetto sociale del committente e/o sia connotata da compiti meramente esecutivi o ripetitivi.

Con riferimento al primo dei suddetti requisiti, la norma richiede esplicitamente la descrizione del progetto e non la mera “indicazione” dello stesso con individuazione del suo contenuto e del risultato finale che si intende raggiungere. Il Ministero specifica, dunque, che nel contratto deve essere indicata l’attività che il collaboratore è tenuto a svolgere al fine di realizzare un determinato risultato. La vera novità introdotta dalla nuova disciplina consiste nella necessaria riconducibilità funzionale del progetto ad un determinato obiettivo finale, che in questo modo diviene parte integrante del progetto ed elemento essenziale di legittimità del rapporto. Al riguardo, la circolare sottolinea che il risultato indicato deve essere obiettivamente verificabile in relazione all’attività svolta dal collaboratore e deve essere idoneo a realizzare uno specifico e circoscritto interesse del committente.

Il Ministero fornisce anche alcuni esempi: il “risultato finale” può consistere nello sviluppo di uno specifico software e non nell’attività ordinaria di gestione dello stesso; può consistere nell’ideazione di una specifica scenografia per la rappresentazione di uno spettacolo teatrale e non nel solo allestimento del palco. Il primo comma dell’art. 61, così come modificato dalla L. 92/2012, richiede inoltre che il progetto non consista nella mera riproposizione dell’oggetto sociale del committente e nello svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi. Il Legislatore in tal modo ha voluto esplicitare quanto già affermato dalla prevalente giurisprudenza. Con riferimento al primo profilo, il Dicastero chiarisce che il progetto, pur potendo rientrare nel normale ciclo produttivo dell’impresa, deve essere caratterizzato da una autonomia di contenuti ed obiettivi. Anche in questo caso la circolare esemplifica i concetti, ritenendo generico quel progetto che preveda semplicemente la creazione di un software per la clientela invece che la realizzazione di un programma informatico aventi particolari caratteristiche. Per quanto riguarda invece le modalità esecutive delle attività richieste al collaboratore (le quali non possono essere meramente esecutive o ripetitive), il Ministero definisce esecutiva quella attività che non prevede alcun apporto della professionalità del collaboratore e non prevede alcuna autonomia dello stesso, anche sotto il profilo operativo. La ripetitività è propria di quei lavori che non necessitano di direttive del datore di lavoro.  

Dopo aver fornito i criteri necessari per verificare la genuinità dei rapporti di collaborazione a progetto, il Dicastero stila una lista di attività che, in quanto difficilmente riconducibili “ad un progetto specifico finalizzato ad un autonomo risultato obiettivamente verificabile”, devono presumersi oggetto di rapporti di lavoro subordinato: addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici, addetti alle agenzie ippiche, addetti alle pulizie, autisti e autotrasportatori, baristi e camerieri, commessi e addetti alle vendite, custodi e portieri, estetiste e parrucchieri, facchini, istruttori di autoscuola, letturisti di contatori, magazzinieri, manutentori, muratori e qualifiche operaie dell’edilizia, piloti e assistenti di volo, prestatori di manodopera nel settore agricolo, addetti alle attività di segreteria e terminalisti, addetti alla somministrazione di cibi o bevande, prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi cosiddetti in bound.

Secondo quanto richiesto dalla circolare ministeriale, qualora il personale ispettivo riscontri un contratto a progetto avente ad oggetto una delle suddette attività è tenuto a ricondurre gli eventuali rapporti posti in essere alla fattispecie del rapporto di lavoro subordinato, adottando i conseguenti provvedimenti sul piano lavoristico e previdenziale (pagamento di ferie, tfr, eventuali mensilità aggiuntive, differenze retributive e pagamento dei contributi in misura dovuta per il lavoratore dipendente). Con riferimento al corrispettivo dovuto al collaboratore il Ministero riprende quanto stabilito dal novellato art. 63 del D.Lgs. n. 276/2003 secondo il quale il compenso minimo del collaboratore va individuato dalla contrattazione collettiva sulla base di quanto avviene per i rapporti di lavoro subordinato; laddove manchi una contrattazione collettiva specifica, il compenso non potrà in ogni caso alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi per le figure professionali con profili di competenza e esperienza analoghi a quelli del collaboratore a progetto. La circolare sottolinea che il riferimento alle “retribuzioni minime” è da ricondurre esclusivamente ai minimi tabellari previsti dai contratti collettivi e non a tutte le eventuali voci retributive previste dagli stessi. Da ultimo, la nuova disciplina introduce un’ulteriore presunzione relativa di subordinazione, stabilendo la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato non solo nel caso di mancanza del progetto, ma anche nell’ipotesi in cui il collaboratore svolga le prestazioni assegnategli con modalità analoghe a quelle dei lavoratori subordinati, salvo che si tratti di prestazione di elevata professionalità.

Le indicazioni del Ministero contenute nella circolare costituiscono certamente un riferimento utile per valutare la legittimità di un contratto di lavoro a progetto ma non chiudono la partita. Come al solito, la palla passa adesso ai tribunali.