Che cos’è la “codatorialità”? Con questo termine il decreto n. 76 del 2013 ha voluto indicare un rapporto nel quale un lavoratore opera, contemporaneamente, alle dipendenze di due o più datori di lavoro. Attenzione: non si tratta di distinti rapporti part-time, ma di un rapporto unico, nel quale il lavoratore è contestualmente alle dipendenze di più soggetti. Potremmo dire che la codatorialità rappresenta un po’ l’inverso del job sharing (il cosiddetto “lavoro ripartito”), nel quale, sempre nel contesto di un unico rapporto, due dipendenti operano in favore di un solo datore di lavoro, alternandosi nell’esecuzione dell’attività lavorativa.

Sino a oggi il concetto di codatorialità – ma sarebbe più corretto dire “contestuale imputazione dello stesso rapporto in capo a più datori di lavoro” – pur non evocando, necessariamente, comportamenti illeciti, era stato ricollegato soprattutto a fenomeni negativi: e cioè a quei casi nei quali più imprese, normalmente di proprietà di un unico soggetto o facenti parte di un gruppo, avevano utilizzato promiscuamente un lavoratore, che pure era stato formalmente assunto soltanto da una di esse. In quei casi, il lavoratore poteva (e può) contestare la “codatorialità”, ad esempio: per far rispondere tutte le imprese, in solido, dei debiti derivanti dal rapporto; ovvero per chiedere di sommare il numero dei dipendenti di tutte le imprese interessate, al fine di far accertare il superamento della soglia dei 15 dipendenti e ottenere le più forti tutele contro il licenziamento.

Con l’art. 7 del decreto n. 76 la codatorialità viene riconosciuta come una modalità tipica di gestione dei rapporti di lavoro, presso imprese che hanno sottoscritto un contratto di rete, ai sensi del d.l. n. 5 del 2009, conv. l. n. 33 del 2009. La finalità è evidente: in questi casi, infatti, c’è bisogno di personale che curi, in maniera coordinata, gli interessi di tutte le imprese partecipanti alla rete, con modalità tali da rendere effettivamente difficile distinguere le attività svolte in favore solo di una o alcune di queste, ovvero in favore di tutte (si pensi, ad esempio, alla gestione congiunta di attività di marketing; o alla creazione di piattaforme informatiche comuni; o a progetti industriali da attuare con il concorso delle diverse tecnologie e dei know how propri di ciascuna impresa).

Tale configurazione del rapporto lavorativo, pertanto, nell’ambito delle reti di impresa diventa un’alternativa all’utilizzo del distacco: e cioè di quell’istituto che consente a un’impresa di mettere temporaneamente un proprio dipendente a disposizione di un’altra, senza incorrere nelle sanzioni previste per la somministrazione di manodopera irregolare, qualora essa possa vantare un interesse specifico (di carattere tecnico, organizzativo, o comunque riconducibile alla sua attività) all’operazione. Anche per l’utilizzazione del distacco il decreto n. 76 introduce un’importante novità, affermando che, in presenza del contratto di rete, l’interesse del datore di lavoro distaccante – che, come noto, costituisce un fondamentale requisito di legittimità del distacco stesso – “sorge automaticamente in forza dell’operare della rete”.

Tra le due fattispecie – codatorialità e distacco – c’è però una profonda differenza sul piano della struttura del rapporto lavorativo. Nel distacco, infatti, il rapporto è in capo al solo distaccante, che pertanto rimane l’unico soggetto che risponde per la maggior parte delle relative obbligazioni (in particolare, quelle per pagamento di retribuzioni e contributi). Nel caso di codatorialità, invece, le imprese interessate sono tutte parti del rapporto di lavoro e, quindi, devono considerarsi, almeno in linea di principio, solidalmente obbligate per tutti gli obblighi che da questo nascono.

Ci si potrebbe allora domandare: perché non fermarsi a un puro e semplice distacco, nel quale una sola azienda fa da “parafulmine”, mentre le altre non rispondono dei eventuali debiti nascenti dal rapporto? Le ragioni possono essere molteplici. Innanzitutto, non è vero che nel distacco l’impresa utilizzatrice è sempre e comunque esonerata da responsabilità: dovranno, ad esempio, comunque considerarsi (anche) a suo carico obblighi quali quelli inerenti la tutela della salute del lavoratore temporaneamente inserito nella sua organizzazione. Ma, soprattutto, il distacco soffre di rigidità (si prevede un’utilizzazione del lavoratore solo temporanea, e solo presso il distaccatario) che potrebbero mal conciliarsi con le concrete esigenze di gestione di un contratto di rete.

In alcuni casi, pertanto, la codatorialità può rappresentare uno strumento davvero utile. E, sicuramente, essa sarà utile (anche perché, spesso, già praticata in via di fatto) nel settore agricolo, nel quale egualmente il decreto n. 76 ne prevede l’utilizzazione. In tale settore, infatti, la norma ammette la codatorialità quando siano coinvolte imprese che facciano parte di un gruppo (come definito ai sensi dell’art. 31, d.lgs. n. 276 del 2003), ovvero facenti capo allo stesso proprietario o a soggetti legati da vincoli di parentela o affinità entro il terzo grado, oppure legate, anch’esse, da un contratto di rete: in tali casi si potrà dunque procedere “congiuntamente” all’assunzione di dipendenti, per affidare loro lo svolgimento di attività all’interno delle rispettive aziende.

Per tale settore, però, la facoltà è sospesa, in attesa dell’emanazione di un apposito decreto ministeriale di attuazione, che dovrà risolvere vari problemi di ordine tecnico. Problemi che, a ben vedere, si pongono anche tra le imprese non agricole (per le quali, tuttavia, non v’è analoga previsione): si pensi, ad esempio, alla gestione degli adempimenti relativi alle comunicazioni e registrazioni obbligatorie.

In tutti i casi, le imprese dovranno comunque ben coordinarsi tra loro, per regolare le modalità di gestione congiunta del potere direttivo e di quant’altro necessario per amministrare concretamente il rapporto lavorativo: sarà questa la funzione delle “regole di ingaggio”, che la legge prevede siano inserite nel contratto di rete (ma delle quali potrà essere opportuno dar conto anche nei contratti individuali di lavoro).

Tali regole, peraltro, potranno avere anche una funzione ulteriore, alla luce di quanto indicato dal ministero del Lavoro nella circolare n. 35/2013, ove si legge che “sul piano di eventuali responsabilità penali, civili e amministrative – e quindi sul piano della sanzionabilità di eventuali illeciti” ricollegabili alla gestione del rapporto lavorativo, occorrerà “rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza pertanto configurare ‘automaticamente’ una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto”.