È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 281 del 10 novembre 2014 la legge 30 ottobre 2014 n. 161 (Disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione europea – Legge europea 2013 – bis) che, all’art. 16, assoggetta il personale dirigenziale alla disciplina dei licenziamenti collettivi, prevista dalla legge 223/1991.



Com’è noto, la legge 223/1991 impone al datore di lavoro, che occupa più di quindici dipendenti e che intende procedere al licenziamento di almeno cinque lavoratori nell’arco di centoventi giorni, il preventivo esperimento di una procedura di consultazione sindacale e l’adozione, per la selezione del personale da licenziare, dei criteri di scelta eventualmente pattuiti nell’accordo sindacale sottoscritto a conclusione della procedura o, in mancanza di accordo, dei tre criteri di scelta previsti direttamente dalla legge in concorso tra loro (carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico-produttive e organizzative).



Sinora, il personale dirigenziale era escluso dal campo di applicazione della legge sui licenziamenti collettivi. Il datore di lavoro poteva quindi licenziare anche più di cinque dirigenti senza obbligo di esperire preventivamente la procedura di consultazione sindacale e senza obbligo di adottare particolari criteri di scelta. I recessi, ancorché plurimi, venivano trattati alla stregua di licenziamenti individuali.

La questione della mancata inclusione dei dirigenti tra i lavoratori soggetti alla disciplina della legge 223/1991 era approdata davanti alla Corte di Giustizia che, con sentenza 596/2014, aveva statuito che l’Italia era venuta meno agli obblighi incombenti in forza dell’art. 1, paragrafi 1 e 2, della Direttiva n. 59 del 1998, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi. A nulla era valsa la difesa assunta dall’Italia, incentrata sul rilievo secondo cui ai dirigenti veniva riservato un trattamento economico di “miglior favore” in caso di cessazione del rapporto. Al riguardo, la Corte aveva evidenziato che la Direttiva n. 59 del 1998 non ammette, né in modo esplicito né in modo tacito, alcuna possibilità per gli Stati membri di escludere dal suo ambito di applicazione questa o quella categoria di lavoratori. L’Italia ha quindi dovuto ottemperare alla sentenza, per allinearsi alla Direttiva europea, modificando la legge n. 223/1991.



La prima modifica concerne l’art. 24 della legge 223/1991 relativamente al computo del numero minimo dei dipendenti occupati in azienda ai fini dell’applicabilità della normativa sui licenziamenti collettivi: il datore di lavoro sarà obbligato a esperire la procedura di licenziamento collettivo se intende procedere ad almeno cinque licenziamenti nell’arco di centoventi giorni e se l’organico aziendale è composto da più di quindici dipendenti, “compresi i dirigenti”.

Se poi l’impresa o il datore di lavoro non imprenditore intenderà procedere al licenziamento anche di uno o più dirigenti troveranno applicazione le norme che disciplinano la procedura di consultazione sindacale previste dall’art. 4 della legge n. 223/1991. Quindi, il datore di lavoro dovrà comunicare per iscritto alle rappresentanze sindacali aziendali e alle rispettive associazioni di categoria la propria intenzione di procedere ai licenziamenti collettivi (art. 4, comma 2); e nella comunicazione dovrà precisare, anche con riferimento al personale dirigenziale, i motivi che determinano la situazione di eccedenza, i motivi tecnici, organizzativi o produttivi, per i quali ritiene di non poter adottare misure idonee a porre rimedio alla predetta situazione ed evitare, in tutto o in parte, la dichiarazione di mobilità, il numero, la collocazione aziendale e profili professionali del personale eccedente nonché del personale abitualmente impiegato, e le eventuali misure programmate per fronteggiare le conseguenze sul piano sociale dell’attuazione del programma.

Entro sette giorni dalla data del ricevimento della comunicazione del datore di lavoro, le rappresentanze sindacali possono chiedere di procedere a un esame congiunto tra le parti allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza di personale e le possibilità di una diversa utilizzazione di tale personale o di una sua parte. Qualora il datore di lavoro intenda procedere al licenziamento anche di uno o più dirigenti, all’esame congiunto si dovrà procedere “in appositi incontri” con le rispettive rappresentanze sindacali. Ad appositi incontri riservati al personale dirigenziale eccedente si dovrà procedere anche nella successiva ed eventuale fase amministrativa, disciplinata dall’art. 4, comma 7, della legge n. 223/1991.

Al personale dirigenziale saranno applicabili anche i criteri di scelta di cui all’art. 5, comma 1, della legge n. 223/1991: carichi di famiglia, anzianità ed esigenze tecnico-produttive e organizzative, in concorso tra loro.

Da ultimo, si prevede che, in caso di violazione della procedura o di violazione dei criteri di scelta, il datore di lavoro sarà tenuto al pagamento in favore del dirigente di un’indennità in misura compresa tra dodici e ventiquattro mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo alla natura e alla gravità della violazione, fatte salve le diverse previsioni sulla misura dell’indennità contenute nei contratti e negli accordi collettivi applicati al rapporto di lavoro.

Un regime legale differenziato rispetto a quello applicabile al personale non dirigenziale si ravvisa con riferimento al caso di violazione dei criteri di scelta. In questo caso, al personale non dirigenziale si applica la tutela di cui all’art. 18, comma quarto, della legge n. 300/1970 (nel testo riformato dalla cosiddetta legge Fornero): il lavoratore non dirigente sarà reintegrato dal giudice nel posto di lavoro e avrà diritto a un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione (comunque, in misura non superiore a dodici mensilità). Laddove invece il dirigente potrà pretendere soltanto il pagamento di un’indennità risarcitoria sino a ventiquattro mensilità, e non anche la reintegrazione.