Nel 1994, con il d.lgs. n. 509, le Casse di previdenza dei liberi professionisti, insieme ad alcuni altri enti previdenziali, hanno potuto trasformarsi da enti di diritto pubblico in enti senza scopo di lucro con personalità di diritto privato. La “privatizzazione” era ed è condizionata all’assenza di finanziamenti pubblici, cioè alla capacità di autofinanziamento degli enti, mentre restano immutate le finalità previdenziali perseguite e la loro rilevanza pubblicistica, cui segue l’obbligo di iscrizione e contribuzione per tutti gli appartenenti alla categoria professionale. Come ha spiegato la Corte Costituzionale, «la trasformazione ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza e assistenza svolta dagli enti, articolandosi invece sul diverso piano di una modifica degli strumenti di gestione e della differente qualificazione giuridica dei soggetti stessi».
Quando la legge n. 335 del 1995 ha sancito il passaggio dalla pensione retributiva a quella contributiva, ha anche consentito alle casse privatizzate di scegliere se adottare quest’ultimo sistema di calcolo, diversamente dovendo comunque garantire l’equilibrio di bilancio, adottando provvedimenti «di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle (suddette) modifiche» (art. 3, c. 12).
A fronte di sopravvenute difficoltà economiche, molte Casse hanno fatto ricorso a tale potere, modificando in senso restrittivo, con riferimento ai periodi precedenti, le regole di applicazione della pensione retributiva e semmai introducendo, per il futuro, quella contributiva. Tuttavia, la giurisprudenza ha ritenuto tali scelte non rispettose del principio del pro rata, inteso, con un’interpretazione formalistica, come garanzia di totale conservazione delle regole previgenti.
L’effetto è stato di scaricare sulle generazioni di professionisti attivi e futuri il finanziamento di una promessa pensionistica che può arrivare perfino ad assicurare ai pensionati attuali prestazioni di molto superiori ai contributi versati nell’arco dell’intera vita lavorativa.
Per consentire un più ampio margine di manovra alle Casse, l’art. 1, c. 763, l. n. 296/2006, modificò l’art. 3, c. 12, consentendo l’adozione dei provvedimenti necessari a garantire l’equilibrio finanziario di lungo termine «avendo presente il principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti e comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra generazioni». Con l’evidente intenzione di superare il blocco determinato dall’accennata interpretazione giurisprudenziale, inoltre, sempre il c. 763, stabilì che «sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti (privatizzati) e approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della presente legge». Neppure questo intervento, però, risultò utile, perché ancora la giurisprudenza escluse la possibilità per il legislatore di sanare ex post provvedimenti illegittimamente assunti perché non rispettosi del principio del pro rata.
La modifica legislativa, tuttavia, non chiede più il “rispetto” di tale principio, ora solo da “avere presente”, altresì «comunque tenuto conto dei criteri di gradualità e di equità fra le generazioni». Come affermato da una recente sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (8/9/2015, n. 17742), pertanto, a far data dall’entrata in vigore della disposizione (1/1/2007), le Casse non sono più tenute al rispetto integrale del principio del pro rata e possono adottare, con riferimento ai trattamenti pensionistici maturati dal 1° gennaio 2007, provvedimenti che modifichinoin peius le modalità di calcolo della pensione retributiva o della quota di pensione retributiva. Resta intangibile, invece, la situazione dei trattamenti pensionistici maturati prima di tale data, poiché a essi si applica l’art.3, c. 12, l. n. 335/1995 nella formulazione originaria, che prevedeva la rigorosa applicazione del principio del pro rata.
Nell’occasione, peraltro, la Cassazione ha offerto una lettura dell’art. 1, c. 488, l. n. 147/2013, che, tenendo conto anche del principio del giusto processo come delineato dalla giurisprudenza della Corte europa dei diritti dell’uomo (Cedu), ne salvi comunque la natura interpretativa. Secondo la disposizione, infatti, l’ultimo periodo dell’articolo 1, c. 763, l. n. 296/2006, «si interpreta nel senso che gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale adottati dagli enti di cui al medesimo comma 763 ed approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296, si intendono legittimi ed efficaci a condizione che siano finalizzati ad assicurare l’equilibrio finanziario di lungo termine». In tal modo, la legge voleva precisare il senso della disposizione del 2006, di cui, come detto, la giurisprudenza ha comunque escluso l’idoneità a incidere sulla regola del pro rata.
Tuttavia, parte della giurisprudenza ha negato la natura interpretativa e allora ravvisato la contrarietà all’accennato principio Cedu dell’art. 1, c. 488, l. n. 147/2013, in quanto innoverebbe rispetto al testo previgente dell’art. 1, c. 763, l. n. 296/2006. Le Sezioni Unite rigettano questa interpretazione, ritenendo che il valore della disposizione sia di chiarire che, con riferimento ai trattamenti pensionistici maturati dal 1° gennaio 2007, sono fatti salvi gli atti e le deliberazioni in materia previdenziale già adottati dagli enti privatizzati e approvati dai Ministeri vigilanti prima della data di entrata in vigore della legge 27 dicembre 2006, n. 296.
In altri termini, le modifiche peggiorative incidenti sul principio del pro rata adottate prima del 2006 e illegittime in relazione al testo originale dell’art. 3, c. 12, l. n. 335/1995, sono idonee a produrre effetto sui trattamenti maturati dopo la modifica di quest’ultimo comma.
Pertanto, per gli iscritti alle casse che abbiano adottato tali regolamenti e abbiano maturato la pensione successivamente al 1° gennaio 2007, saranno valide le modifiche che incidono in senso peggiorativo sul principio del pro rata, con eventuale rettifica del trattamento erogato.