La legge delega n. 183/2014, il cosiddetto Jobs Act, ha disposto la revisione e l’aggiornamento delle misure volte a tutelare la maternità e le forme di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro (art. 1, c. 8 e 9), indicando tra i criteri direttivi la revisione delle disposizioni in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, per garantire una maggiore flessibilità dei relativi congedi obbligatori e parentali… anche tenuto conto della funzionalità organizzativa all’interno delle imprese. 



In attuazione della delega l’art. 7, d.lgs. n. 80/2015, ha modificato sotto più profili l’art. 32, appunto dedicato al “congedo parentale”, del d.lgs. n. 151/2001.  

Va detto subito, però, che si tratta di novità di carattere sperimentale: nel dettare le disposizioni finanziare, infatti, l’art. 26, d.lgs. n. 80 si è innanzitutto premurato di precisare che le previsioni di un consistente gruppo di articoli, tra cui l’art. 7, «si applicano in via sperimentale esclusivamente per il solo anno 2015 e per le sole giornate di astensione riconosciute nell’anno medesimo», cioè, considerata la data di entrata in vigore della legge, quelle fruite dal 25 giugno al 31 dicembre 2015. 



E di precisare poi che per gli anni successivi il riconoscimento dei benefici è condizionato all’individuazione di un’adeguata copertura finanziaria da parte dei decreti legislativi attuativi del Jobs Act, mentre in assenza di questi le disposizioni modificate, ad esempio l’art. 32 su richiamato, si applicano nel testo previgente al Jobs Act. La prima indicazione non è chiarissima, ma probabilmente si riferisce alla possibilità concessa al Governo dal co. 13, dell’art. 1, legge n. 183/2014, di adottare disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi entro dodici mesi dalla loro entrata in vigore. Dunque, poiché il d.lgs. n. 80 è entrato in vigore il 25 giugno 2015, entro fine giugno del 2016 si dovrebbe sapere se le nuove regole verranno stabilizzate o meno. 



Venendo al merito delle modifiche, resta inalterato il periodo massimo di fruizione del congedo parentale sia individuale — 6 mesi elevabili a 7 nel caso in cui il padre lavoratore dipendente ne fruisca per almeno 3 mesi — sia complessivo, tra i genitori — 10 mesi, elevabili a 11 nel caso in cui il padre ne fruisca per almeno 3 mesi — o dell’unico genitore (10 mesi).

Cambia, invece, e aumenta dai primi 8 ai 12 anni di vita del bambino, ovvero fino ai 12 anni dall’ingresso in famiglia del minore adottato o affidato, l’arco temporale entro cui ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro per il periodo predetto (art. 7, co. 1, lett. a, che modifica l’art. 32, co. 1, d.lgs n. 151/2001). Al contrario, diminuisce da 15 a 5 giorni il termine entro cui il genitore, salvo casi di oggettiva impossibilità, deve preavvisare il datore del momento di inizio e di fine del periodo di congedo. Come l’altra, però, anche questa modifica è nel segno di un più agevole ricorso al congedo parentale, consentendo pianificazioni degli impegni famigliari anche a breve termine.  

La novità più rilevante, comunque, è data dalla possibilità di optare per una fruizione del congedo non più solo giornaliera (o mensile) bensì anche oraria, cioè per frazioni temporali della giornata lavorativa. 

In realtà, già l’art. 1, co. 339, legge n. 228/2012, aggiungendo all’art. 32, d.lgs. n. 151/2001 un comma 1-bis, consentiva il frazionamento orario del congedo, subordinandolo, tuttavia, ad una previsione della contrattazione collettiva che ne indicasse le modalità di fruizione, i criteri di calcolo della base oraria e l’equiparazione di un determinato monte ore alla singola giornata lavorativa. Ora, la modifica apportata dall’art. 7 non si sostituisce a questa previsione ma la integra sussidiariamente: essa opera, infatti, in assenza di regolamentazione del contratto collettivo, anche aziendale, attribuendo ai lavoratori il diritto alla fruizione del congedo su base «in misura pari alla metà dell’orario medio giornaliero del periodo di paga quadrisettimanale o mensile immediatamente precedente a quello nel corso del quale ha inizio il congedo parentale», ed escludendo, per evidenti ragioni, «la cumulabilità della fruizione oraria del congedo parentale con permessi o riposi di cui al presente decreto legislativo», quali quelli di cui agli artt. 33, 39 e 40 del medesimo d.lgs. n. 151/2000. 

Va ribadito, però, che, per il loro carattere sperimentale, tali misure sono usufruibili soltanto entro la fine dell’anno: pertanto, salvo modifiche legislative, dal 1° gennaio 2016 non sarà più possibile avvalersi del congedo per un figlio di età superiore a 8, ma non superiore a 12 anni, anche qualora la domanda di fruizione sia stata presentata prima di tale data.