Tra gli effetti indiretti e probabilmente neppure previsti e voluti della cosiddetta “Legge Fornero” vi è l’allungamento dei tempi di prescrizione dei crediti di lavoro nelle aziende che occupino più di 15 dipendenti. È questo, in sostanza, il principio dirompente affermato dal Tribunale di Milano con la recente sentenza del 16 dicembre.
La causa decisa dal Tribunale di Milano aveva a oggetto la rivendicazione di differenze retributive da parte di tre lavoratori a tempo parziale che lamentavano una disparità di trattamento rispetto ai colleghi a tempo pieno. L’azienda, dal canto suo, deduceva l’infondatezza della domanda ed eccepiva che il diritto fatto valere si fosse ormai prescritto giacché ai rapporti di lavoro in questione si applicava la tutela “reintegratoria” prevista dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori ed era già decorso, in costanza di rapporto, il termine di prescrizione di cinque anni dalla pretesa maturazione dei crediti.
Il Tribunale ha accolto le domande dei lavoratori e ha rigettato tutte le eccezioni dell’azienda, ritenendo che la prescrizione dei crediti retributivi non decorra più durante la permanenza del rapporto di lavoro, ancorché quest’ultimo sia “tutelato” dall’art. 18 Stat. Lav. nel testo riformulato dalla Legge Fornero, ma decorra piuttosto dal giorno di cessazione del rapporto. E invero prima della L. n. 92/2012 l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori prevedeva, in caso di licenziamento illegittimo operato da azienda con più di 15 dipendenti, la reintegrazione nel posto di lavoro (la cosiddetta “tutela reale”). Da ciò la giurisprudenza faceva discendere una fondamentale conseguenza in tema di prescrizione: poiché la “tutela reale” garantiva efficacemente il lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, lo stesso non subiva alcun metus reverenziale e, dunque, poteva e doveva rivendicare, per non incorrere nella prescrizione, eventuali crediti di lavoro entro il termine di cinque anni anche in costanza di rapporto.
Con la “Legge Fornero”, tuttavia, l’ambito di applicazione della “tutela reale” è stato ridotto e la reintegrazione è divenuta solo una delle possibili conseguenze del licenziamento illegittimo. Proprio dalla riforma del 2012 e dal mutato perimetro di applicazione della ”tutela reale” derivano, secondo il Tribunale di Milano, conseguenze anche in tema di decorrenza della prescrizione. Secondo il Tribunale, giacché il testo dell’art. 18 dopo la “Legge Fornero” non garantisce più al lavoratore la certezza della reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo, il lavoratore potrebbe “incorrere nel timore del recesso nel far valere le proprie ragioni, a fronte della diminuita resistenza della propria stabilità” e, dunque, potrebbe astenersi dal rivendicare i propri diritti in costanza di rapporto per la paura di essere licenziato. Questa situazione psicologica è stata considerata idonea a “sospendere” la decorrenza della prescrizione durante la permanenza del rapporto, analogamente a quanto avviene da sempre per i lavoratori delle aziende occupanti meno di 15 dipendenti.
A ben vedere il principio affermato dal Tribunale non è nuovo, ma segna un “ritorno” a quanto statuito dalla giurisprudenza prima dell’introduzione, nel 1970, della tutela reintegratoria da parte dello Statuto dei lavoratori. E infatti la Corte Costituzionale, con la storica sentenza n. 63 del 1966, aveva dato rilievo al cosiddetto “ostacolo materiale, quale la situazione psicologica del lavoratore che può essere indotto a non esercitare il proprio diritto per lo stesso motivo per cui molte volte è portato a rinunciarvi, cioè per timore del licenziamento”, per escludere la decorrenza in costanza di rapporto della prescrizione dei crediti di lavoro che l’avente diritto non aveva rivendicato in quanto timoroso di una sanzione ritorsiva.
Nel 1970, dopo l’entrata in vigore dello Statuto del lavoratori e, quindi, della “tutela reale”, la Corte Costituzionale aveva ribadito tale principio limitandolo, tuttavia, ai soli rapporti di lavoro non assistiti dalla garanzia di stabilità derivante dalla natura pubblica del rapporto di lavoro o dalla tipologia di tutela spettante al lavoratore (Corte Cost., 29.4.1971 n. 86; Corte Cost. 12.12.1972 n. 174; Corte Cost. 10.2. 1981 n. 13). A tale orientamento si è conformata anche la Corte di Cassazione (Cass. S.U. 12.4.1976 n. 1268 e sentenze successive).
La novità della recentissima pronuncia del Tribunale di Milano sta nel fatto che detto principio viene ora applicato anche alle aziende che occupino più di 15 dipendenti e dunque sostanzialmente a tutti i lavoratori, posto che una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (n. 24157 del 25.11.2015) ha statuito che il “nuovo” art. 18 Stat. Lav., che prevede la reintegrazione solo in casi limitati, si applichi anche ai dipendenti della Pubblica amministrazione. A detta del Giudice, infatti, la diminuzione della tutela introdotta dalla L. n. 92/2012, seppure non escluda a priori l’ipotesi della reintegrazione del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo, basta per ingenerare nello stesso una “situazione psicologica di metus” (Cass. Civ., n. 23227 del 13.12.2004) tale da sospendere la prescrittibilità dei crediti di lavoro in costanza di rapporto.
Sul piano pratico la pronuncia del Tribunale di Milano complica ancor di più la posizione del datore di lavoro che, nella valutazione delle situazioni di rischio, ha meno parametri di riferimento e di valutazione. Nell’ambito delle aziende con più di 15 dipendenti e della Pubblica amministrazione, infatti, se fino alla “Legge Fornero” il diritto alla rivendicazione di crediti di lavoro trovava un argine nella prescrizione quinquennale, sussiste ora il rischio di vertenze rimaste silenti e risalenti anche a diversi decenni passati (salva ovviamente la prescrizione eventualmente maturata fino al 2012).
Il principio affermato dal Tribunale di Milano, inoltre, potrà ancor più incontestabilmente applicarsi alle nuove assunzioni “a tutele crescenti” avvenute dopo il 7.3.2015 (ovvero dopo l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 23/2015) per le quali la reintegrazione è stata ulteriormente limitata ai soli casi di licenziamento discriminatorio, orale o basato su motivo illecito determinante. La sentenza commentata evidenzia un ulteriore profilo di incertezza generato dalla “Legge Fornero” che si aggiunge alle note difficoltà di individuare la tutela spettante in caso di dichiarata illegittimità del licenziamento.
Ed è paradossale che, mentre tale normativa ha ridotto notevolmente i termini di impugnazione del licenziamento per dare maggiore certezza primariamente alle aziende, abbia al contempo esposto le medesime, insieme alla Pubblica amministrazione, al rischio di vertenze “silenti” risalenti a tempi assai remoti.