Vorrei tornare su alcune questioni relative ai cosiddetti controlli a distanza sui lavoratori, dei quali ho già avuto modo di occuparmi su queste pagine il 28 settembre scorso, quando segnalavo la difficoltà di comprendere la portata di alcune delle nuove regole poste dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dal Jobs Act. In particolare, evidenziavo la necessità di approfondire il significato del riferimento agli «strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa», per la cui messa in funzione il datore di lavoro – ferma la necessità di rispetto delle discipline della privacy – non ha bisogno di acquisire il consenso dei sindacati mediante stipula di apposito accordo, né, in mancanza di detto accordo, deve munirsi dell’autorizzazione amministrativa, di competenza dell’Ispettorato nazionale del lavoro (e cioè della nuova Agenzia, che si avvia ad assorbire le varie Direzioni territoriali e interregionali del lavoro).
Proprio l’Ispettorato ha varato, lo scorso 11 novembre, una circolare esplicativa nella quale affronta il problema con riferimento agli impianti GPS, e cioè agli impianti di localizzazione satellitare, sempre più spesso montati sulle autovetture aziendali. Secondo tale documento, «l’interpretazione letterale» porta a ritenere che la disposizione si riferisca solo a «quegli apparecchi, dispositivi, apparati e congegni che costituiscono il mezzo indispensabile al lavoratore per adempiere la prestazione lavorativa dedotta in contratto, e che per tale finalità siano stati posti in uso e messi a sua disposizione».
Nell’assumere che la linea di demarcazione posta dalla norma sarebbe data dall’essere o meno l’impianto GPS «indispensabile», la circolare conclude che «in termini generali, si può ritenere che i sistemi di geolocalizzazione rappresentino un elemento “aggiunto” agli strumenti di lavoro, non utilizzati in via primaria ed essenziale per l’esecuzione dell’attività lavorativa ma, per rispondere a esigenze ulteriori di carattere assicurativo, organizzativo, produttivo o per garantire la sicurezza del lavoro».
Dalla regola generale – per la quale prima di montare il GPS bisogna concludere l’accordo collettivo, ovvero acquisire l’autorizzazione amministrativa – si potrebbe dunque prescindere solo in ipotesi assai limitate. Per l’Ispettorato, infatti, «solo in casi del tutto particolari– qualora i sistemi di localizzazione siano installati per consentire la concreta ed effettiva attuazione della prestazione lavorativa (e cioè la stessa non possa essere resa senza ricorrere all’uso di tali strumenti), ovvero l’installazione sia richiesta da specifiche normative di carattere legislativo o regolamentare (per esempio, uso dei sistemi GPS per il trasporto di portavalori superiore a euro 1.500.000,00, ecc.) – si può ritenere che gli stessi finiscano per “trasformarsi” in veri e propri strumenti di lavoroe pertanto si possa prescindere, ai sensi di cui al comma 2 dell’art. 4 della L. n. 300/1970, sia dall’intervento della contrattazione collettiva che dal procedimento amministrativo di carattere autorizzativo».
La tesi sostenuta dall’Ispettorato – che evidentemente detta criteri utilizzabili in una serie di fattispecie ben più ampia di quella relativa ai GPS – non appare però condivisibile, in quanto fornisce una lettura restrittiva della norma, da contestare proprio sul piano dell’interpretazione letterale.
La norma, infatti, non dice affatto che gli strumenti devono essere “indispensabili”, ma si accontenta che gli stessi siano usati «per» rendere la prestazione: essa pone, cioè, un criterio funzionale, che libera dall’obbligo di accordo/autorizzazione non solo le ipotesi nelle quali la prestazione «non possa essere resa senza ricorrere all’uso di tali strumenti», ma anche tutti i casi nei quali la prestazione, pur essendo possibile anche in assenza degli strumenti suddetti, sia da questa comunque resa più agevole ed efficiente.
Prendiamo ad esempio gli strumenti di geolocalizzazione, utilizzati dai venditori per pianificare i percorsi giornalieri delle visite ai clienti e le loro variazioni: certo, quel lavoro può essere svolto (e sino a qualche anno lo si svolgeva) anche con una cartina stradale, quindi a rigore lo strumento non è “indispensabile”; ma certamente esso è strettamente funzionale a rendere più efficiente e meno faticosa la prestazione.
Peraltro, l’Ispettorato si discosta anche dal criterio già indicato, in prima battuta, dallo stesso Ministero che, come già a suo tempo ricordavo, nel comunicato del 18 giugno 2015 distingueva tra lo strumento (dispositivo o semplice applicazione) che “serve” al lavoratore per svolgere la prestazione, e quello che invece “serve” al datore di lavoroper controllare la stessa. Certo, la distinzione, spesso, non è semplice (anche perché in molti casi le due “utilità” si sovrappongono). Non sembra però che rifugiarsi in un criterio non previsto dalla legge possa costituire una buona soluzione.
Resta fermo, però, che, da oggi, quella sopra indicata è la posizione ufficiale degli Ispettori. Quindi, cari datori di lavoro, se non volete subire l’irrogazione di sanzioni, né impelagarvi in contenziosi, correte subito dai sindacati o dall’Ispettorato per mettervi “in regola”.