Quando si affronta il tema dell’immigrazione, e delle politiche dell’integrazione (possibile), spesso si utilizza la metafora della necessità di abbattere muri e costruire ponti. Fuor di metafora, più pragmaticamente, l’edilizia può, o almeno potrebbe, rappresentare un campo d’integrazione vera per molte persone venute nel nostro Paese alla ricerca di un futuro migliore per loro e per le loro famiglie.
In questo quadro è stato, infatti, sottoscritto, nei giorni scorsi, un Protocollo tra i ministeri del Lavoro e degli Interni con le Parti sociali che si propone di formare e avviare al lavoro nel settore edile rifugiati e altri migranti vulnerabili, al fine di accompagnare il loro percorso verso l’autonomia e, allo stesso tempo, per sostenere la crescita del settore trainata in particolare dai vari superbonus e dalle risorse del Pnrr.
Nello specifico la collaborazione tra Governo e parti sociali mira all’inserimento socio-lavorativo di almeno 3mila persone, tra richiedenti e titolari di protezione internazionale o temporanea, titolari di protezione speciale, minori stranieri non accompagnati in transizione verso l’età adulta ed ex minori stranieri non accompagnati.
I destinatari saranno inseriti nei percorsi di formazione delle scuole edili, coordinate dall’ente paritetico Formedil, e faranno esperienze dirette sul campo con tirocini da svolgersi direttamente presso le imprese di settore. Per i minori stranieri non accompagnati, e per coloro che nel frattempo diventati maggiorenni, sono, inoltre, previsti anche interventi sperimentali basati sull’attivazione di contratti di apprendistato.
Per il ministero del Lavoro quest’intesa rappresenta un’opportunità importante e da non perdere partendo dal presupposto che formazione e lavoro sono sempre leve straordinarie per favorire l’integrazione e sono dimensioni che consentono, più di altre, ai migranti di costruirsi una nuova vita in Italia e di contribuire alla crescita del nostro Paese.
Fabbricare case, insomma, come diceva anche un giovane cantautore calabrese, Rino Gaetano, alla fine degli anni ’70 (quando l’immigrazione nel nostro Paese era soprattutto interna) non è solo “cementificazione” ma anche un modo, forse anche semplice, di sentirsi più veloci e più leggeri e di assicurare un avvenire ai tuoi figli con amore.
Un auspicio, e una speranza, vero, ancora a distanza di quasi quarant’anni, per le tante persone in fuga, si pensi a titolo meramente esemplificativo alle vicende ucraine, da guerra e povertà e che vengono nel nostro Paese per “costruirsi” mattone su mattone un futuro migliore.
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