Come noto, l’articolo 1 della nostra Costituzione dichiara che la nostra Repubblica si fonda sul lavoro. L’art. 4 poi impegna la Repubblica a riconoscere a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuovere quelle condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha, quindi, il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della nostra società.
Entrando, poi, nella parte “economica” della Costituzione, l’art. 37 impegna la Repubblica a tutelare il lavoro dei minori con speciali norme e garantire ai più giovani, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
In questa cornice si dovrebbero, quindi, leggere le interessanti conclusioni del Rapporto dell’Unicef su “Lavoro minorile in Italia: rischi, infortuni e sicurezza sui luoghi di lavoro” pubblicato nei giorni scorsi.
Emerge, infatti, che sono ben 78.530 i lavoratori minorenni, dai 15 ai 17 anni, nel 2023 in Italia: si tratta del 4,5% dei ragazzi in quella fascia d’età, in aumento rispetto ai 69.601 del 2022 e ai 51.845 del 2021.
Le quattro regioni con la percentuale più alta di minorenni occupati, dai 15 ai 17 anni, in relazione alla popolazione residente per questa fascia di età, sono: Trentino-Alto Adige, Valle D’Aosta, Abruzzo e Marche. Tutte si trovano al di sopra della media nazionale che è del 4,5%.
Dal rapporto emerge, inoltre, che il reddito medio settimanale stimato per i giovani lavoratori di sesso maschile oscilla da 297 euro nel 2018 a 320 euro nel 2022, mentre nelle ragazze passa da 235 euro nel 2018 a 259 euro nel 2022. Il “gender gap”, insomma, si manifesta fin da subito.
Nello studio vi sono anche i dati relativi alle denunce di infortunio presentate all’Inail a livello nazionale che riguardano i lavoratori entro i 19 anni di età. Nel quinquennio 2018-2022, sono 338.323 di cui: ben 211.241 per i minori fino a 14 anni e 127.082 nella fascia d’età 15-19 anni. Nello stesso periodo, le denunce di infortunio mortale sono state in totale 83. Di queste, nove nella fascia di età sotto i 14, 74 in quella che va dai 15 ai 19 anni. Dati questi da ritenere inaccettabili per un Paese che, come ricordato sopra, fonda le sue istituzioni democratiche sul valore del lavoro.
Molto, probabilmente, c’è da fare per far sì che il sistema dell’istruzione e della formazione, il luogo in cui i ragazzi devono stare, funzioni sempre meglio. Lavorare, ci ricorda sempre la Costituzione del ’48 all’art. 34, perché i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, abbiano il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi e rendere effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso.
È questo, peraltro, un dovere verso le giovani generazioni chiamate a vivere in un mondo sempre più competitivo e globale dove le competenze faranno, sempre più, la differenza.
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