Save the Children è un’organizzazione internazionale che non si limita a promuovere la tutela dei minori che, nelle tante aree del mondo funestate dalla povertà assoluta, dalla siccità e dalle malattie, subiscono tassi di mortalità infantile molto elevati. Le sue indagini si rivolgono a quanto succede nei Paesi in via di sviluppo e sviluppati.
Purtroppo Il lavoro minorile è un fenomeno globale che non risparmia nemmeno l’Italia e che mette a repentaglio i diritti fondamentali di bambine, bambini e adolescenti. Oltre al rischio per la propria salute e il proprio benessere psicofisico, i bambini e gli adolescenti che iniziano a lavorare prima dell’età legale consentita, senza alcuna tutela giuridica, rischiano di vedere compromesso, o addirittura interrotto, il loro percorso di apprendimento e di sviluppo, alimentando notevolmente il circolo vizioso di povertà ed esclusione, anche in età adulta.
È di recente pubblicazione il report “Non è un gioco” Indagine sul lavoro minorile in Italia 2023. Sebbene il fenomeno del lavoro minorile in Italia non manifesti, evidentemente, i contorni drammatici che assume in altre parti del mondo, la ricerca mette in rilievo come il coinvolgimento dei ragazzi e delle ragazze in attività lavorative prima dell’età consentita (16 anni) sia molto diffuso anche nel nostro Paese e come questo, in un numero rilevante di casi, metta fortemente a rischio i percorsi educativi e di crescita degli adolescenti. Ecco i dati di sintesi:
– Un 14-15enne su cinque (20%) svolge o ha svolto un’attività lavorativa prima dell’età legale consentita. Tra questi, più di un minore su dieci ha iniziato a lavorare già all’età di 11 anni o prima. Sulla base di questi dati, si stima che 336 mila minorenni tra 7 e 15 anni abbiano avuto esperienze di lavoro minorile, il 6,8% della popolazione di quell’età.
– Tra i 14-15enni che lavorano, il 27,8% (circa 58.000 minorenni) ha svolto lavori particolarmente dannosi per il proprio sviluppo educativo e per il benessere psicofisico, perché considerati da loro stessi pericolosi oppure perché svolti in orari notturni, o ancora svolti in maniera continuativa durante il periodo scolastico.
– I settori prevalentemente interessati dal fenomeno del lavoro minorile sono la ristorazione (25,9%) e la vendita al dettaglio nei negozi e attività commerciali (16,2%). Seguono le attività in campagna (9,1%), in cantiere (7,8%), le attività di cura con continuità di fratelli, sorelle o parenti (7,3%). Questo ultimo dato non tiene conto dei piccoli lavori domestici svolti nel quadro della condivisione delle responsabilità familiari. Emergono anche nuove forme di lavoro online (5,7%).
– Sebbene il 70,1% dei 14-15enni che lavorano o hanno lavorato, lo abbiano fatto in periodi di vacanza o in giorni festivi, il lavoro è intenso da un punto di vista della frequenza: quando lavorano, più della metà dei 14-15enni lo fa tutti i giorni o qualche volta a settimana, circa 1 su 2 lavora più di 4 ore al giorno.
Il lavoro minorile si accompagna quasi sempre con l’abbandono degli studi; il che condiziona le i successivi percorsi di vita. Il lavoro minorile, riducendo il tempo dedicato allo studio, rischia dunque di compromettere i percorsi educativi dei minorenni. Se si analizzano nel dettaglio alcuni dati presenti nell’indagine, si evince, ad esempio, che la percentuale di minori che è stata bocciata una volta durante la scuola secondaria di I o di II grado è quasi doppia tra i minori che hanno lavorato prima dei 16 anni rispetto a quelli che non hanno mai lavorato. Più che doppia invece la percentuale di minori con esperienze di attività lavorative prima dell’età legale consentita che hanno interrotto temporaneamente la scuola secondaria di I o II grado, rispetto ai loro pari senza esperienze lavorative.
I minori che lavorano prima dell’età legale consentita rischiano di compromettere i loro percorsi educativi e di crescita, alimentando la dispersione scolastica. Come certifica l’Istat, la quota dei giovani 18-24enni “dispersi”, ovvero che escono dal sistema di istruzione e formazione senza aver conseguito un diploma o una qualifica, nel 2021 era pari al 12,7% del totale, contro una media europea del 9,7%.
Sebbene sul tema servano maggiori approfondimenti di ricerca, il lavoro minorile può anche influenzare la condizione futura di giovani Neet, alimentando la trasmissione intergenerazionale della povertà e dell’esclusione sociale. I ragazzi e le ragazze di età compresa tra 15 e 29 anni in questa situazione in Italia sono più di 2 milioni, il 23,1% della popolazione di riferimento, la percentuale più alta in Europa. Nonostante sia stato previsto l’innalzamento dell’obbligo formativo da 8 a 10 anni a favore di una permanenza più duratura all’interno di percorsi scolastici e a discapito di inserimenti precoci nel mondo lavorativo, il lavoro minorile rimane dunque un tema attuale. Si tratta di un fenomeno ancora in larga parte sommerso e invisibile, che necessita maggiore attenzione.
Sulla base di una seconda ricerca, condotta nel 2014 da Save the Children in collaborazione con il Dipartimento della Giustizia Minorile, il 66% degli adolescenti e giovani adulti coinvolti nei circuiti penali risultava aver svolto attività lavorative prima dei 16 anni e almeno il 10% aveva svolto attività “pericolose” per il loro benessere. Una ricerca della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro stima che ben 2,4 milioni di occupati in età 16-64 anni abbiano iniziato a lavorare prima dei 16 anni, ovvero complessivamente il 10,7% degli occupati nel 2020. Un fenomeno leggermente più diffuso nelle regioni del Nord Italia e con più di 230mila (4,7%) occupati con meno di 35 anni che dichiarano di aver svolto una qualsiasi forma di lavoro retribuita già prima dei 16 anni. Tuttavia, l’attività ispettiva condotta dagli organi preposti riesce a intercettare solo una piccola parte del fenomeno sommerso: nel 2019, erano 243 i casi accertati di occupazione irregolare di minori di età inferiore ai 16 anni e solamente 127 nel 2020, una diminuzione causata dalla pandemia Covid-19.
Le esperienze di lavoro vengono/sono state svolte prevalentemente nel settore della ristorazione (25,9%), in particolare come barista, cameriere e, in alcuni casi, aiuto cuoco; nelle attività di vendita nei negozi e attività commerciali (16,2%), come commesso, cassiere, ma anche in uffici e magazzini; in campagna (9,1%). Seguono l’attività in cantiere, come muratore, imbianchino, idraulico o elettricista (7,8%), il sostegno a casa nella cura di fratelli, sorelle o parenti (7,3%) (escludendo, come già indicato, “l’aiuto a casa” per brevi intervalli di tempo), babysitter (4,8%), vendita ambulante o servizi da asporto (4,3%) e in percentuali minori (sotto il 3%) attività nei laboratori artigianali, nelle officine e distributori di benzina.
Importante sottolineare, rispetto ai risultati della precedente indagine, l’apparizione di nuove forme di lavoro online (ad esempio pubblicità, video, contenuti sui social a pagamento, compravendita online) che riguardano il 5,7% degli intervistati che hanno dichiarato di aver lavorato nell’ultimo anno . È bene notare che il 65% dei minori che svolgono lavori di cura di fratelli, sorelle o parenti, a casa in modo continuativo, sono femmine. Tale percentuale sale al 90% per il lavoro di babysitting. Mentre i maschi sono largamente preponderanti in tutte le altre mansioni rilevate.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.