Con la ripresa produttiva, dopo i periodi di lockdown dovuti alla pandemia, anche l’occupazione ha preso il sentiero della crescita ed è tuttora in salita. Il tasso di occupazione ha superato i massimi storici del nostro Paese e, ascoltando le previsioni delle imprese, dovrebbe mantenere la salita anche nel primo semestre del nuovo anno.



Non possiamo certamente augurarci che vi sia un’inversione di tendenza. Anzi, dato che il nostro tasso di occupazione rimane più basso dell’obiettivo che si è data la comunità europea, dobbiamo impegnarci ancora a fare in modo che la crescita continui. Se pensiamo a cosa augurarci nel nuovo anno per il lavoro e per chi lavora, speriamo che vi siano cambiamenti importanti.



Se vogliamo che la crescita occupazionale sia stabile dobbiamo fare in modo che si correggano i punti deboli del nostro mercato del lavoro. I due aspetti principali riguardano i mismatching che stanno creando problemi sempre più complicati. Alla base c’è quello quantitativo. L’effetto del calo demografico incomincia a pesare sul ricambio delle persone che arrivano all’età pensionabile. Portare più persone a essere attive e disponibili a un’occupazione chiede interventi sugli aspetti salariali e anche sui contratti da applicare. Insieme all’aspetto quantitativo vi è una discrasia qualitativa fra la formazione richiesta dal sistema produttivo e la formazione con cui i giovani arrivano al mercato del lavoro. Gli strumenti di sostegno alle persone per le transizioni che riguardano l’avvio alla prima occupazione e poi per i cambiamenti che interesseranno le diverse fasi della vita lavorativa sono ancora deboli e di scarsa efficacia.



Un tasso di occupazione basso e la scarsità di persone disposte a lavorare alle condizioni date porta ad avere squilibri profondi su tutto il nostro sistema di welfare dato che la contribuzione legata al reddito da lavoro è la fonte principale. Per rispondere a queste sfide non bastano gli appelli per favorire un’immigrazione più adeguata alle necessità dell’economia. È fondamentale che si intervenga perché il lavoro trovi una maggiore valorizzazione, un migliore riconoscimento sociale, che tornino politiche che rendano efficiente il percorso scuola-formazione-lavoro, ma anche politiche sui prezzi dalla casa ai trasporti che siano labour oriented.

Il primo augurio perciò è che ci siano certamente gli interventi specifici per le politiche attive del lavoro e per un piano straordinario di formazione per gli occupati, ma il lavoro deve diventare il driver di scelte alla base delle politiche di investimento e per disegnare un nuovo welfare.

La crescita dell’occupazione di giovani e donne dipende molto dalle scelte politiche tese a migliorare le condizioni sul lavoro e quelle a supporto di chi lavora. Su questa base si affronta anche il tema delle politiche economiche che hanno come priorità l’aumento della produttività. È un problema dell’industria, ma soprattutto del nostro sistema dei servizi e della Pubblica amministrazione. La nostra produttività è rimasta ferma per troppo tempo ed è soprattutto quella del sistema Italia che paga i ritardi delle scelte da fare.

Auguriamoci allora che arrivi l’anno delle riforme utili a rilanciare i nostri servizi pubblici e privati. Che la spinta della digitalizzazione e la crescita di reti di collaborazione fra enti pubblici, privati e del Terzo settore facciano fare un vero salto in avanti in tutti i servizi alle persone.

Se ciò può avverarsi il tema del salario minimo torna a essere problema non decisivo. La ragione è che ci sarebbero gli spazi per affrontare il vero tema nazionale che è un’inversione della distribuzione dei redditi a favore del lavoro. Devono crescere tutti i salari e gli stipendi recuperando i ritardi della bassa produttività che ha penalizzato soprattutto il lavoro nell’ultimo decennio. La capacità di chiudere in fretta tutti i rinnovi contrattuali ancora fermi e passare con la contrattazione aziendale e territoriale ad affrontare le differenze di costo della vita che si stanno ampliando fra le diverse zone del Paese è una necessità che si presenta sempre più urgente.

Su tutti questi temi tocca al Parlamento battere un colpo con un cambio di metodo. Il lavoro non può essere oggetto solo di battaglie di bandiera che favoriscono la divaricazione delle posizioni e non portano a scelte utili al Paese. Leggi che sblocchino investimenti e scelte per sostenere i cambi di passo nella produttività di sistema sono determinanti.

Ecco, un ulteriore augurio è che riprenda uno spazio di dialogo fra chi vuole lo sviluppo del paese per migliorare le condizioni di tutti. Un patto contro rendite e burocrazia per rimettere in moto la speranza di cambiamento nelle condizioni di vita di chi è più indietro.

Un ultimo augurio è che avanzi la possibilità di arrivare a una legge per la partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese. È importante che si apra questa nuova stagione nell’attuazione di una parte della nostra Costituzione rimasta in sospeso. È la base più forte perché si formi una coalizione di interessi fra chi vive del proprio lavoro e vuole contribuire allo sviluppo delle opportunità di miglioramento sociale per tutti. È anche il modo migliore per affrontare la domanda di senso del lavoro che è cresciuta nel corso di quest’ultimo periodo. È attraverso il lavoro che sviluppiamo il sistema di relazioni che ci mettono in contatto con il mondo. Lockdown e cambiamenti in corso nei sistemi produttivi stanno ridisegnando il sistema delle relazioni fra le persone. Possono aprirsi nuove opportunità o crearsi fratture che portano d un impoverimento della socialità. Nasciamo animali sociali e tutto ciò che ci porta a rompere questa attitudine ha riflessi negativi sui singoli e sulla tenuta dei tessuti sociali su cui si costruisce la speranza collettiva di un futuro migliore.

Per questo l’augurio principale è che una nuova stagione di partecipazione, di condivisione di obiettivi di sviluppo e un nuovo patto fra chi crede che non ci si muova da soli, possa aprire una stagione di tutela e valorizzazione del lavoro italiano.

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