Lavoro: in Italia cresce l’occupazione, ma i giovani faticano a trovare un’occupazione
Il mondo del lavoro in Italia, dopo gli anni difficili della pandemia, è tornato a registrare un’importante crescita. Infatti, l’occupazione ha raggiunto il 61,5% (considerando tutte le persone tra i 15 e i 64 anni) secondo l’Istat, con un aumento di 0,9 punti da quando è stata eletta Giorgia Meloni. Già Mario Draghi era riuscito ad aumentare l’occupazione, ma grazie soprattutto alla spinta che è arrivata dopo la fine della pandemia. Il tasso di disoccupazione, invece, è diminuito al 7,4%, toccando il livello più basso dall’aprile del 2009.
Eppure, guardando al mondo del lavoro dal punto di vista dei giovani tra i 15 e i 24 anni ci si renderà conto che la disoccupazione è al 21,3%. Dati, certamente, migliori degli anni precedenti (è il livello più basso dall’agosto del 2008), ma che posizionano l’Italia al penultimo posto della classifica europea, appena sopra alla Romania, rappresentando anche un valore di due terzi maggiore alla maggior parte degli altri stati europei. Insomma, per dirlo in altri termini, seppur il lavoro in Italia è tornato a crescere dopo la crisi pandemica con valori migliori dell’ultime crisi economica mondiale, i giovani faticano ancora ad accedervi.
Perché i giovani non trovano lavoro in Italia?
Per capire meglio cosa stia succedendo nel Bel Paese, il quotidiano Frankfurter Allgemeine ha intervistato Maurizio Del Conte, professore di diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano e presidente di un grande centro di formazione a Milano. Secondo Del Conte “in Italia manca un orientamento lavorativo in età scolare che tenga conto delle inclinazioni personali e della domanda dell’economia”.
A pesare ulteriormente sul mondo del lavoro in Italia, secondo il docente, c’è la scarsa propensione dei datori ad offrire corsi di formazione e apprendistati, “a causa della burocrazia dilagante, dei numerosi controlli e degli scarsi vantaggi fiscali”. Tutti problemi che il Bel Paese ha ereditato, suo malgrado, dal ventennio fascista, che stravolse il sistema scolastico con la norma voluta da Giovanni Gentile. Questi, infatti, rese le materie matematiche e tecniche di secondaria importanza, ritenendo che per il mondo del lavoro dell’epoca (in larghissima parte operaio) bastasse una formazione elementare. Il sistema formativo italiano, secondo Del Conte, “è poco sviluppato“, mentre le istituzioni “non dialogano abbastanza con le aziende”. In molti istituti tecnici, infatti, vengono offerti esclusivamente corsi di lingua e di informatica di livello base, sfruttando fondi statali che, secondo il docente, dovrebbero essere utilizzati per i corsi avanzati, come “le nuove tecnologie e l’analisi dei dati, ad esempio”.