Il ministro dell’Economia Gualtieri ha ripetuto, in diversi interventi negli ultimi giorni, che dovremo destinare i fondi europei agli investimenti, ma avremo anche spazio per promuovere una riforma fiscale. Basa le sue riflessioni a riguardo sul fatto che la ripresa economica del terzo trimestre si presenta molto più forte di quanto ci si aspettava e quindi avremo una caduta del Pil annuale non sopra il 10%, ma al di sotto. Finora le previsioni operate sulla base della caduta della produzione dovuta al lockdown fissavano la caduta fra il 12% e il 15%.



Qualora le previsioni del ministro dovessero risultare esatte vi è lo spazio per poter operare sui due piani di intervento come ha cercato di spiegare. La ragione è che se così fosse l’iniezione di fondi per investimenti mirati capaci di dare una svolta alla digitalizzazione della nostra economia produttiva, sostenere una svolta verso l’economia sostenibile e circolare, avviare la modernizzazione dei sistemi e dei servizi pubblici, rafforzare i percorsi educativi e scolastici, tutti questi interventi definibili debiti buoni, perché capaci di creare molte più risorse di quante ne richiedono per essere realizzati, porteranno finalmente a generare una costante diminuzione del debito pubblico. Su questa base si può ipotizzare di operare una riforma del sistema fiscale che, mantenendo l’obiettivo di una diminuzione complessiva della pressione fiscale, sia in grado di colpire l’evasione esistente ma anche di tassare redditi della new economy che oggi sfuggono agli accertamenti fiscali.



Nel richiamare il filone di intervento degli investimenti da operare nel settore della scuola e della formazione, si fa spesso riferimento anche a non meglio precisati interventi per l’occupazione e il mercato del lavoro. Non è stato ancora presentato nessun progetto organico, ma, basandoci su quanto è stato citato come esempio positivo in più di un’occasione, traspaiono alcune linee di intervento.

Dovrebbe trovare spazio un deciso intervento a sostegno del sistema duale. Da più parti si è sottolineato che assieme agli interventi finalizzati ad aumentare l’accesso di giovani ai percorsi universitari è importante che si proceda a rafforzare l’esperienza degli Its come canale di formazione terziaria capace di rispondere con flessibilità alla formazione di figure professionali di alto profilo tecnico richieste dalle nuove imprese 4.0.



Altri punti più volte presenti nelle esemplificazioni di progetti per il lavoro intorno a cui si sta lavorando sono misure di tipo fiscale tese a correggere squilibri territoriali e di genere. In particolare ci si propone di introdurre misure fiscali di favore per la localizzazione nel Mezzogiorno di nuove imprese e di norme fiscali che favoriscano l’occupazione femminile. Nuove opportunità dopo l’esperienza del telelavoro del periodo del lockdown vengono dalla possibilità di operare forme di smart working in sedi di coworking poste in zone oggi spopolate e lasciate ai margini dei flussi economici. Essenziale è la diffusione della rete 5G nel Sud e nei borghi del Paese se si vuole realmente sostenere nuove localizzazioni per “nuovi lavori”.

A fianco di queste proposte la ministra del Lavoro ha rilanciato la proposta della riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario. Questo sia per favorire lo scambio di lavoro fra anziani e giovani, sia per creare nuovi posti di lavoro. Pur lasciando perdere il costo, con debito cattivo, che avrebbe una misura del genere, è assodato, da tutte le esperienze fatte in altri Paesi che non è mai stato raggiunto il risultato di aumentare l’occupazione. Manca completamente alla ministra il concetto di produttività che presiede all’andamento delle creazioni di risorse per determinare nuovi posti di lavoro e nuovi redditi.

È finora completamente mancato al dibattito il tema delle politiche attive. Se togliamo la proposta di aprire tanti nuovi Centri per l’impiego pubblico (sarebbe come mettere tanti rubinetti su una tubazione a cui manca l’acqua) e la propaganda di Anpal servizi sull’efficacia dei navigator, sembra che si viva in un Paese dove esiste già un efficace welfare per il lavoro.

La realtà, messa ancora più in luce dagli effetti della pandemia, è che gli strumenti esistenti non proteggono più la totalità dei lavoratori e non c’è nulla per sostenere e tutelare la mobilità sul mercato del lavoro. Passare dalle politiche passive a quelle attive è indispensabile e se non si chiamano a collaborare gli operatori pubblici e privati avremo già nei prossimi mesi una crescita dei disoccupati lasciati senza nessuna tutela.