Il 24 ottobre scorso la “Legge Biagi” ha compiuto 20 anni. Più che di una legge vera e propria sarebbe più corretto parlare, in maniera tecnica, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 che ha a oggetto l'”attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, della legge 14 febbraio 2003, n. 30″.
Una legge che prevedeva, ad esempio, tra i suoi principi informatori quello dello snellimento e della semplificazione delle procedure di incontro tra domanda e offerta di lavoro, la modernizzazione, e razionalizzazione, del sistema del “collocamento” pubblico, al fine di renderlo maggiormente efficiente e competitivo nel rispetto delle competenze riconosciute alle regioni. Si puntava quindi sul sostegno, e sullo sviluppo, dell’attività lavorativa femminile e giovanile, nonché al reinserimento dei lavoratori più “maturi”.
Si incentivavano, poi, nuove forme di coordinamento, e raccordo, tra operatori privati e pubblici, ai fini di un migliore funzionamento del mercato del lavoro, nel rispetto, anche in questo caso, delle competenze delle regioni in materia.
Si auspicava, inoltre, un maggiore coordinamento delle disposizioni sull’incontro tra domanda e offerta di lavoro con la disciplina in materia di lavoro dei cittadini “non comunitari” in modo da prevenire l’adozione di forme di lavoro irregolare, ahimè anche minorile, e sommerso.
Molte di queste questioni, sebbene in un mondo profondamente cambiato, certamente più globale, digitalizzato e “veloce”, sono, probabilmente, ancora aperte e, con scelte e opzioni diverse, hanno visto interventi di tutti i vari Esecutivi che hanno governato il Paese in questi ultimi lunghi 20 anni.
Il Governo Berlusconi di allora scelse di dedicare questa, per molti aspetti storica, riforma del mercato del lavoro al Professor Biagi che ne era stato, insieme al “suo” gruppo di lavoro, il principale ispiratore fin dalla pubblicazione del “Libro Bianco” contenente le Proposte per una società attiva e per un lavoro di qualità anche in Italia. Per queste idee Mario Biagi era stato brutalmente ucciso, dalla furia del terrorismo brigatista, il 19 marzo dell’anno precedente davanti alla porta di casa nel cuore di Bologna.
Il professor Biagi si proponeva in quel corposo documento di innovare soprattutto la metodologia del confronto, prima ancora che nella stessa portata “riformista” dei contenuti, anche alla luce delle esperienze più recenti di dialogo sociale in Italia.
In questo quadro si invitavano, ad esempio, nel merito, le parti sociali ad attivarsi per la costruzione un nuovo sistema di politiche del lavoro nel quale stabilità e sicurezza fossero riferite non più al singolo posto di lavoro bensì all’occupazione e al mercato del lavoro.
Un progetto, certamente, questo, che, per quanto ambizioso e, probabilmente, di difficile realizzazione, rappresenterebbe una vera e propria “rivoluzione” anche oggi a distanza di venti, o poco più, da quando il prof. Biagi l’aveva messo nero su bianco in quel libro bianco che rappresenta, probabilmente, il suo “testamento politico”.
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