È stato pubblicato, nei giorni scorsi, sulla Gazzetta Ufficiale un decreto del ministro del Lavoro sulla disciplina dei servizi di individuazione, di validazione e di certificazione delle competenze relativi alle qualificazioni di titolarità del Ministero. Vale la pena sottolineare come questo documento sia attuativo di un decreto legislativo “solamente” del 2013, ai tempi del Governo Monti.



Il nuovo decreto regola, finalmente, le funzioni e disciplina gli ambiti di titolarità del ministero del Lavoro con riferimento al sistema nazionale di certificazione delle competenze, aprendo nuovi spazi di collaborazione e sinergia, nell’ambito della formazione aziendale, tra il sistema della formazione professionale, le Parti sociali, rendendo maggiormente centrale il ruolo dei Fondi interprofessionali per la formazione continua e i Fondi bilaterali per la formazione e l’integrazione al reddito.



Si realizza, insomma, così (sperando che sia la volta buona) un importante passo nel processo di implementazione del sistema nazionale di certificazione delle competenze e, più in generale, delle politiche attive del lavoro specialmente per alcune categorie più deboli come giovani, lavoratori a bassa scolarizzazione o migranti che potranno, in questo sistema, valorizzare le loro competenze anche se acquisite in contesti di apprendimento non formale come durante il Servizio civile universale o in percorsi di accompagnamento alla imprenditorialità, nel volontariato e in progetti di utilità collettiva.



La certificazione delle “competenze” , è utile ricordarlo, è quella procedura che dovrebbe portare al formale riconoscimento, da parte di un ente appositamente “titolato”, delle competenze acquisite dalle persone in contesti formali, anche in caso di interruzione del percorso formativo, o di quelle validate acquisite in contesti non formali e informali. La procedura di certificazione delle competenze si conclude, quindi, con il rilascio di un certificato. Un nuovo strumento, insomma, sfidante per un sistema formativo, per molti aspetti, ancora troppo scuola-centrico.

Dare valore alle conoscenze, e alle abilità, acquisite “fuori” dai luoghi “formali” del sapere rappresenta per il Paese una sfida e un’opportunità da non perdere e, si spera, per rimettere in circolo in maniera virtuosa saperi, e persone, che rischiavano di essere escluse.

L’auspicio è che non si debba, però, aspettare altri dieci anni per far sì che queste procedure diventino operative ed effettivamente esigibili dai cittadini.

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