Nei giorni scorsi sono state approvate le “Linee guida per la definizione degli strumenti operativi per la valutazione multidimensionale e per la definizione dei Patti per l’inclusione sociale”, previsti dal decreto istitutivo dell’Assegno di inclusione del 2023.
Lo strumento si propone di affiancare gli operatori dei servizi sociali, nonché dei Centri per l’impiego e degli altri servizi territoriali coinvolti, che accompagnano i cittadini beneficiari della nuova misura nella costruzione del loro progetto di (auspicata) uscita dalla povertà. La logica che sottostà alla definizione del Patto per l’inclusione sociale è che il reddito da solo non basti a uscire dalla povertà, in quanto la mancanza di reddito spesso non è la causa della povertà, bensì il suo effetto. Le cause possono essere, altresì, diverse e, tipicamente, di natura “multidimensionale”.
Per evitare, quindi, le cosiddette “trappole della povertà” si ritiene importante dover agire sulle cause con una progettazione personalizzata che individui bisogni, e risorse, di ogni nucleo familiare e metta in campo gli interventi più appropriati che lo accompagni, progressivamente, verso l’autonomia.
Il tutto si deve inserire, ovviamente, in un contesto in cui i servizi, sociali, sociosanitari e lavoro, operano in rete e si assumono una chiara responsabilità nei confronti dei cittadini più fragili e vulnerabili che, in questa prospettiva, si impegnano ad attivarsi all’interno di un Patto personalizzato concordato insieme.
Dato, inoltre, che vulnerabilità, e povertà, non sono caratteristiche dei singoli individui, queste possono essere affrontate solo in un quadro relazionale tra un singolo, o un gruppo, situati in un contesto di riferimento più complesso.
È, quindi, necessario che il progetto di inclusione si articoli su più livelli, quello personale/familiare così come quello comunitario, al fine di poter costruire quelle nuove relazioni che debbano vedere coinvolti, a vario titolo, soggetti del pubblico e del privato sociale, servizi, enti e istituzioni e che sostengano la vita quotidiana delle persone.
La sfida, insomma, che ci si pone è quella di una grande occasione per migliorare, nel suo complesso, la governance delle politiche sociali al fine di ridurne le, troppo spesso note, inefficienze e le iniquità nei confronti dei cittadini e i diversi territori.
Ci si propone così di incoraggiare, partendo dal basso, la (ri)definizione di un sistema di servizio locale integrato e partecipato fra sistemi, istituzioni e cittadini e fra ambiti di azione (sociale, lavoro, casa, sanità, giustizia, educazione, formazione e scuola).
La “prevenzione” della povertà dovrebbe, in definitiva, richiedere di superare le attuali frammentazioni, per individuare tutte le possibili convergenze, non necessariamente parallele, anche a livello politico.
Le povertà, infatti, non si battono, o perlomeno si contrastano, con facili slogan, ma con un lavoro certosino e paziente che sappia mettere al centro le persone più fragili con tutte le loro evidenti debolezze, ma anche con le loro, spesso, nascoste risorse.
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