Il mercato del lavoro nei Paesi Ocse sta rallentando. La notizia è contenuta nell’aggiornamento di settembre dell’Economic outlook, il report che riassume le principali tendenze economiche globali.
Per documentare questa affermazione, l’Ocse esamina il numero di posti di lavoro vacanti per lavoratore disoccupato. L’indicatore è diminuito costantemente ed è ora tornato ai livelli immediatamente precedenti alla pandemia.
Anche le misure sulla carenza di manodopera hanno continuato a scendere in molte delle principali economie avanzate. La disoccupazione è aumentata di 0,5 punti percentuali o più in Argentina, Canada, Sud Africa, Turchia e Stati Uniti. Il rallentamento della domanda determina il rallentamento della crescita dell’occupazione in alcuni Paesi, tra cui Giappone e Stati Uniti.
Il raffreddamento del mercato del lavoro tuttavia non può essere spiegato solo dal rallentamento della domanda. A livello globale si prevede che la crescita del Pil globale si stabilizzerà al 3,2% nel 2024 e nel 2025, con un’ulteriore disinflazione, un miglioramento dei redditi reali e una politica monetaria meno restrittiva in molte economie che aiutano a sostenere la domanda.
Allora perché il mercato del lavoro rallenta? L’Ocse ritiene che stia aumentando l’offerta di lavoro e che questo aumento sia spiegabile con un aumento dei flussi migratori. Gli aumenti dei lavoratori nati all’estero hanno rappresentato la maggior parte della crescita della forza lavoro dall’inizio del 2023 in Australia, Canada, Stati Uniti e molti Paesi europei.
Il panorama italiano conferma in parte le considerazioni di Ocse: l’offerta di lavoro aumenta, l’occupazione aumenta anche se il tasso di crescita dell’occupazione sta rallentando.
L’Ocse segnala che i salari reali sono aumentati in molti Paesi poiché l’inflazione è rallentata, ma il potere d’acquisto non si è completamente ripreso. In Italia in particolare il dato dei salari reali è ancora al di sotto del livelli pre-Covid: fatto 100 il quarto trimestre del 2019 l’Italia è poco sopra al 96, con una perdita di circa 4 punti percentuali. La situazione è diversa in Spagna e Gran Bretagna, Stati Uniti, Canada e Australia, dove il salario reale è al disopra dei livelli pre-Covid. Giappone e, in Europa, Germania e Francia condividono con l’Italia la fiacchezza dei salari reali.
L’Ocse inoltre presenta la variazione cumulativa dei prezzi dei prodotti alimentari nel periodo 2019 quarto trimestre-2024 secondo trimestre e la confronta con la variazione dei salari nominali. I prezzi del cibo sono saliti in Italia del 14% in più rispetto alla crescita dei salari nominali. Il dato è importante perché segnala un’erosione del salario reale dei lavoratori che guadagnano di meno, rendendo difficile anche la soddisfazione dei bisogni alimentari di base.
Nonostante le prospettive future di sviluppo siano generalmente buone, l’Ocse ricorda che la crescita dei costi unitari del lavoro è generalmente diminuita ma rimane elevata in molti Paesi a causa della lenta crescita della produttività del lavoro, soprattutto in Europa.
Insomma, il problema non è solo italiano, ma ampiamente condiviso in Europa: senza aumenti di produttività non crescono i salari reali e la crescita globale si sposta altrove, dove investimenti in tecnologia e competenze fanno crescere i consumi interni e attirano immigrazione qualificata.
Senza una politica europea comune, non ci sono piccole manovre nazionali in grado di fare la differenza, in nessun Paese europeo.
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