Lo scenario: all’industria del turismo (ospitalità, servizi, ristorazione) mancano circa 300 mila addetti. Il paradosso: il tasso di disoccupazione in Italia veleggia verso quota 10%. Non sono dati partigiani, ma cifre fornite qualche giorno fa dal ministro Massimo Garavaglia, che ipotizzando un tampone ha perfino accennato, obtorto collo, a una possibile cumulabilità del 50% del Reddito di cittadinanza, a fronte di un contratto stagionale, e a una revisione del decreto flussi.



L’emergenza-personale, che durava già da qualche anno, durante la pandemia (per la ricerca di alternative da parte di chi s’era ritrovato con il posto di lavoro evaporato) ma soprattutto adesso, nella ripresa, si è aggravata. Le organizzazioni sindacali parlano di contratti inaccettabili, i datori di lavoro di cunei fiscali insopportabili, di gran lunga i peggiori applicati in Europa. In mezzo, vanno anche considerate le altre opzioni che i possibili candidati si trovano a considerare: dal Reddito di cittadinanza quale alternativa all’occupazione codificata, alla comodità di regimi lavorativi diversi da quelli che caratterizzano il turismo in genere, dove sono impliciti l’impegno nei weekend, gli orari lunghi, le retribuzioni spesso poco gratificanti. E la stagionalità, che finisce con il far coincidere nell’immaginario (soprattutto dei giovani) il lavoro nell’ospitalità e nella ristorazione come soluzione solo temporanea, di transito. Ma va anche aggiunto che il turismo, specie nelle nuove traiettorie di qualità, competitività e innovazione, non può rivolgersi ad addetti di per sé poco motivati ma anche genericamente nient’affatto formati, privi delle competenze basilari del settore.



“Verissimo – dice Raffaele Alajmo, ceo del gruppo multistellato che vede ne Le Calandre di Padova e nel Quadri di Venezia le punte di diamante -: bisogna investire nella formazione, nelle scuole specializzate e multidisciplinari di hospitality, con corsi anche concentrati nel tempo, per operatori sia di sala che di cucina. Bisogna aiutare a comprendere che lavorare in alta qualità (e non intendo in ristoranti o hotel stellati, ma in qualsiasi struttura che curi al meglio servizi e dettagli) sia appagante. Quello che proponiamo è uno dei mestieri più fighi del mondo, che rende possibili frequentazioni e contatti altrimenti impossibili. Sono occupazioni solo temporanee? Può darsi, ma va bene così: lo studente può fare il cameriere per un anno o due, e poi prendere la strada per cui ha studiato. A me non piace vedere le sale servite solo da anziani ovviamente stanchi, che fanno da una vita gli stessi gesti. La loro esperienza è ovviamente un patrimonio, ma i ricambi sono tonificanti. Il mix risulta un capitale umano giustamente variegato e adatto per clientele altrettanto diverse”.



Alajmo è appena rientrato da Marrakech, dove ha riaperto il Sesamo Royal Mansour, che era rimasto inattivo per varie settimane causa Covid. “Ma anche al Sesamo, come praticamente in tutti i nostri locali, dallo Stern di Parigi all’Hostaria in Certosa, a Venezia, siamo sottorganico: mancano tutte le figure professionali, camerieri, chef, sous chef, commis, lavapiatti e via dicendo”.

E quindi? Come vi regolate?

Dobbiamo ottimizzare. Sotto pressione non si apre più sette giorni su sette e si riducono i menù. Si ragiona sui contratti: a Le Calandre, ad esempio, siamo chiusi due giorni e mezzo la settimana, al Quadri due giorni e in altri tre saltiamo il lunch. Concentriamo i riposi del personale, insomma, evitando le turnazioni che con poco personale lascerebbero sguarniti i giorni di apertura.

I fatturati, però, ne risentono?

Fino a un certo punto. In realtà, nei giorni di apertura e nei servizi si concentrano anche le presenze dei clienti, e i locali sono full. Il giorno top resta sempre il sabato, con coppie o gruppi di amici e poche famiglie, che invece sono più numerose la domenica, ma con scontrini mediamente più contenuti. Sono equilibri delicati e continuamente variabili, e ogni locale deve monitorare no-stop le proprie performances. La verità è che l’ospitalità e la ristorazione stanno cambiando. Ricordo quando noi, nel 2010, a Le Calandre eliminammo le tovaglie: furono in molti a storcere in naso, ma poi davvero molti seguirono l’esempio. Quello fu un primo passo, anche simbolico, adesso credo sia arrivato il tempo di pensare a quelli successivi.

In più, c’è il problema del personale.

Bisogna accettare il fatto che è finita un’epoca. Occorre riorganizzarsi. I giovani cercano più tempo libero, per sé e per la famiglia, ma il mondo del turismo e della ristorazione implica una vita spesa per l’80-90% nel lavoro. Un impegno che dev’essere compensato da adeguate gratificazioni economiche, e non con retribuzioni simili a quelle che un ragazzo potrebbe guadagnare facendo il commesso o l’impiegato, con orari ben stabiliti e ridotti. Fino a oggi si risolveva il gap con un fuoribusta in nero, che però, alla fine, non andava cumulato nei tfr, nelle pensioni, nelle tredicesime. Comunque, chi lavora all white non può soddisfare richieste simili, e deve ricorrere a integrazioni “ufficiali”, con i costi conseguenti, gravati da cunei fiscali assurdi.

Altro problema che affanna il recruiting del personale è la stagionalità del settore.

Sì, anche per noi che abbiamo una quota di collaboratori fissi, tutto l’anno, e altri solo per alcuni mesi, per i quali però abbiamo adottato dei sistemi di retribuzione diversi, un tantino complicati.

Parla di contratti di secondo livello?

Ci credo poco, anche perché non aiutano il miglioramento del lavoro. No, i nostri stagionali, come i camerieri di piazza – penso al Quadri -, sono percentualisti, ovvero hanno bonus del 14% sull’incasso, un monte premio che viene poi ripartito tra i dipendenti sulla base di un punteggio basato soprattutto sull’anzianità di servizio. Per chi a novembre vedrà scadere il proprio contratto, e avrà diritto solo alla disoccupazione, quel bonus costituirà un’integrazione fondamentale per arrivare a mensilità medie praticamente normali. Può sembrare un trattamento eccessivo, ma va detto che per chi lavora in esterno non è sempre primavera. Sono anche convinto che una compartecipazione agli utili renda tutto più facile. Non dico che sia l’unica strada percorribile, però…

(Alberto Beggiolini)

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