È di poche settimane fa l’avvio delle trattative fra FeLSA, NIDIL, e UILTEMP con Assodelivery per addivenire alla sottoscrizione di un accordo nazionale per la regolamentazione delle collaborazioni coordinate e continuative e del lavoro autonomo nel settore del food delivery. L’accordo dovrebbe intervenire su una platea di circa 30mila rider, attualmente contrattualizzati con Glovo e Deliveroo, con collaborazione autonoma occasionale o con partiva iva.



Il faro sindacale su questo segmento del mercato del lavoro era già stato acceso dalle Confederazioni di CGIL, CISL e UIL che, con il protocollo di Intesa del 24 marzo 2021 stipulato con Assodelivery,  avevano già ravvisato la necessità di giungere ad una governance del settore.

Quello che mi preme svolgere in questa sede, è qualche riflessione sulla rilevanza di questa trattativa e sul motivo per cui la ritengo permeata di un valore che va ben oltre la portata dell’ordinaria azione sindacale.



Il primo elemento che a mio avviso rende particolare questa contrattazione riguarda la figura che si va a contrattualizzare. Partiamo innanzitutto dal definire chi è il rider. Prenderò parzialmente in prestito la definizione dalla legge, per cui si fa riferimento ai lavoratori che svolgono attività di consegna di beni per conto altrui, in ambito urbano e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore, attraverso piattaforme anche digitali, cioè tramite programmi e procedure informatiche utilizzati dal committente.

Con la nascita di questa figura lavorativa sono sorti alcuni interrogativi inerenti la sua dimensione e inquadramento nell’attuale assetto normativo, su cui molto si è dibattuto e scritto in questi anni: lavoratore subordinato? Lavoratore autonomo? Eterorganizzato?  Al di là dei tentativi, a corrente alternata prima del legislatore e poi della giurisprudenza di inquadrarlo nella subordinazione, non possiamo a mio avviso non tenere ben presente un elemento decisivo, ossia che, pur nel rispetto del principio Costituzionale di indisponibilità del tipo contrattuale, la maggior parte di questi lavoratori non vuole essere inquadrata nella categoria monolitica della subordinazione, così come intesa nel nostro ordinamento.



Questo per almeno un duplice ordine di motivi. Il primo attiene sicuramente alla episodicità della esperienza di rider nel percorso  lavorativo di queste persone. Stiamo parlando di lavoratori, spesso giovani, di cui la assoluta maggioranza svolge questa attività magari in un momento contingente della vita, al fine di sostenersi negli studi oppure per realizzare progetti di breve-medio periodo, o anche per tutta la vita ma solo sporadicamente, come ad esempio in alcuni giorni durante l’anno.

Per il secondo rileva a mio avviso una evidente residualità dell’attività del rider in rapporto ad altre attività principali, che possono essere lavorative o esulare da questa sfera. Va infatti tenuto presente che l’attività in questione è molto spesso complementare ad altre attività lavorative, simili o del tutto differenti, con cui essa deve potersi coniugare; oppure sono semplicemente le esigenze di vita e famigliari del lavoratore che richiedono questa flessibilità.

Dunque quella sottoposizione al potere direttivo che la legge vuole come caratteristica tipica della subordinazione, semplicemente non è confacente agli interessi di questi lavoratori.

L’ altro elemento di sicura rilevanza, che rende particolare questa azione contrattuale, è senza dubbio la dimensione della organizzazione del lavoro, dal momento che il rider nello svolgimento della prestazione, si relaziona non con un datore di lavoro in carne e ossa, bensì con un algoritmo, che conferisce incarichi e che può anche revocarli, o compiere atti che violino i diritti del lavoratore, come escluderlo arbitrariamente sine die da altri incarichi, circostanza quest’ultima che la giurisprudenza ha ritenuto assimilabile al licenziamento. Si pone perciò la necessità di governare con la contrattazione questo algoritmo, prevedendo norme che ne assicurino la trasparenza e la conformità alla legge e ai principi di diritto del processo decisionale.

Da queste considerazioni esposte emerge pertanto a mio avviso una circostanza. Questi lavoratori hanno sì bisogno di tutele, ma di tutele specifiche che si armonizzino con quei tratti peculiari del lavoro svolto e che ho cercato di delineare nelle righe precedenti. Sono convinto che sia la contrattazione a doversi prendere carico di realizzarle. Più che compiere acrobazie interpretative per sforzarci di inquadrare questi lavoratori come subordinati, nella granitica convinzione, a mio parere superata, della univocità del binomio lavoro subordinato\tutelato, penso debbano costruirsi con la contrattazione tutele nuove ed innovative, che rispondano alle reali esigenze di questi lavoratori.

Infine vorrei concludere riflettendo sulla portata sociale della contrattazione in un settore come quello descritto. Nel lavoro dei rider l’elemento sociale risulta affievolito in primis perché l’algoritmo che sostituisce il datore di lavoro, “disumanizza” il rapporto; allo stesso tempo l’evidente mancanza di un luogo di lavoro ben individuato (la classica fabbrica per intenderci) e di un tempo preciso dello svolgimento della prestazione (i cosiddetti turni), rendono difficile per questi lavoratori intrecciare l’esperienza lavorativa con quelle relazioni sociali necessarie per una esperienza del lavoro soddisfacente, nonché per una crescita della comunità del lavoro.

Ed ecco pertanto che alla contrattazione spetta un compito fondamentale, ossia quello di rimettere al centro la dimensione sociale dell’esperienza del lavoro, che deve essere realizzata necessariamente attraverso la costruzione di una rappresentanza. È con quest’ultima che riusciamo a rendere in una dimensione comunitaria e collettiva, quella che rischia di essere altrimenti una esperienza relegata ad una dimensione strettamente individuale.

Credo quindi che le nuove frontiere della tutela del lavoro vadano ben oltre gli attuali steccati ideologici che siamo abituati a percepire e con cui siamo consoni misurarci. È una sfida per il sindacato tutto, a cui la CISL non può sottrarsi.

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