All’approssimarsi della manifestazione sul welfare, risulta incredibilmente vasta la mistificazione operata dalla sinistra radicale rispetto alla realtà, in particolare, per ciò che riguarda il lavoro interinale. Lo si può facilmente verificare attraverso uno sguardo alla situazione europea.
Alcuni documenti elaborati da Eurociett – European confederation of private employment agency – illustrano infatti il contributo delle agenzie private per il lavoro temporaneo e dell’istituto dell’interinale nel migliorare il funzionamento del mercato del lavoro dal punto di vista degli Obiettivi di Lisbona, obiettivi che fissano al 70% il tasso di occupazione e una riduzione al 4% del tasso di disoccupazione entro il 2010. Dalle statistiche dell’Eurociett emerge che il 40% degli europei che si rivolgono alle agenzie sono disoccupati, ma dopo un anno di lavoro circa il 43% dei lavoratori interinali trova un’occupazione permanente: la flessibilità non è perciò alternativa alla stabilità del lavoro.
I risultati più sorprendenti, da questo punto di vista, sono stati raggiunti nella Gran Bretagna laburista e blairiana, che ha la regolamentazione più liberale in termini di lavoro interinale. In questo Paese il settore è cresciuto rapidamente negli anni novanta, ampliando il numero di settori di sbocco e, oltre che da grandi imprese multinazionali, si compone di agenzie per la maggior parte di piccole dimensioni, con approccio polifunzionale e diversificato in termini di attività. Negli ultimi anni, le agenzie di lavoro temporaneo stanno stringendo accordi e partnership con il governo locale, spinti dalle parti sociali che ne riconoscono sempre più il compito sociale e danno loro fiducia incoraggiandole a realizzare accordi pubblico-privato con l’ufficio di collocamento pubblico.
In questo modo oggi la Gran Bretagna rappresenta, dopo gli Stati Uniti, la seconda industria del lavoro temporaneo del mondo con quasi 6.000 agenzie attive e 14.400 filiali, un tasso di penetrazione del 5% e un fatturato pari a 36.000 milioni di euro. E’ importante notare, inoltre, che attraverso le agenzie di lavoro interinale, i cosiddetti outsiders, i più deboli e meno garantiti, dispongono di un utile canale di ingresso o re-ingresso nel mercato del lavoro; che il nesso tra domanda ed offerta di lavoro cresce e che le imprese trovano più facilmente gli skills di cui hanno bisogno e quindi aumentano la loro competitività.
Per ciò che concerne il nostro Paese, la mancanza di razionalità dell’attuale coalizione di governo si vede in questo campo più che in altri settori: mentre una parte di essa, imitando l’esperienza blairiana, è all’avanguardia sia sul piano della battaglia normativa che della promozione di esperienze sul campo, l’altra parte insegue sogni luddisti tipici di un comunismo pre-caduta del muro. Il paradosso è che, con un mercato del lavoro reso di nuovo più rigido, ne verrebbero a soffrire maggiormente proprio coloro che si pretenderebbe difendere: i disoccupati di lungo periodo, i giovani, le donne in maternità, i lavoratori over 45, gli extracomunitari, i disabili. Una volta di più, l’ideologia demagogica fa male all’uomo in carne ed ossa e al popolo nel suo insieme.
Alcuni documenti elaborati da Eurociett – European confederation of private employment agency – illustrano infatti il contributo delle agenzie private per il lavoro temporaneo e dell’istituto dell’interinale nel migliorare il funzionamento del mercato del lavoro dal punto di vista degli Obiettivi di Lisbona, obiettivi che fissano al 70% il tasso di occupazione e una riduzione al 4% del tasso di disoccupazione entro il 2010. Dalle statistiche dell’Eurociett emerge che il 40% degli europei che si rivolgono alle agenzie sono disoccupati, ma dopo un anno di lavoro circa il 43% dei lavoratori interinali trova un’occupazione permanente: la flessibilità non è perciò alternativa alla stabilità del lavoro.
I risultati più sorprendenti, da questo punto di vista, sono stati raggiunti nella Gran Bretagna laburista e blairiana, che ha la regolamentazione più liberale in termini di lavoro interinale. In questo Paese il settore è cresciuto rapidamente negli anni novanta, ampliando il numero di settori di sbocco e, oltre che da grandi imprese multinazionali, si compone di agenzie per la maggior parte di piccole dimensioni, con approccio polifunzionale e diversificato in termini di attività. Negli ultimi anni, le agenzie di lavoro temporaneo stanno stringendo accordi e partnership con il governo locale, spinti dalle parti sociali che ne riconoscono sempre più il compito sociale e danno loro fiducia incoraggiandole a realizzare accordi pubblico-privato con l’ufficio di collocamento pubblico.
In questo modo oggi la Gran Bretagna rappresenta, dopo gli Stati Uniti, la seconda industria del lavoro temporaneo del mondo con quasi 6.000 agenzie attive e 14.400 filiali, un tasso di penetrazione del 5% e un fatturato pari a 36.000 milioni di euro. E’ importante notare, inoltre, che attraverso le agenzie di lavoro interinale, i cosiddetti outsiders, i più deboli e meno garantiti, dispongono di un utile canale di ingresso o re-ingresso nel mercato del lavoro; che il nesso tra domanda ed offerta di lavoro cresce e che le imprese trovano più facilmente gli skills di cui hanno bisogno e quindi aumentano la loro competitività.
Per ciò che concerne il nostro Paese, la mancanza di razionalità dell’attuale coalizione di governo si vede in questo campo più che in altri settori: mentre una parte di essa, imitando l’esperienza blairiana, è all’avanguardia sia sul piano della battaglia normativa che della promozione di esperienze sul campo, l’altra parte insegue sogni luddisti tipici di un comunismo pre-caduta del muro. Il paradosso è che, con un mercato del lavoro reso di nuovo più rigido, ne verrebbero a soffrire maggiormente proprio coloro che si pretenderebbe difendere: i disoccupati di lungo periodo, i giovani, le donne in maternità, i lavoratori over 45, gli extracomunitari, i disabili. Una volta di più, l’ideologia demagogica fa male all’uomo in carne ed ossa e al popolo nel suo insieme.
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