Il mercato del lavoro è certamente cambiato nell’ultimo decennio. Il tasso di occupazione, che nel 1997 era del 52,3%, è passato dal 56,7% del 2002 al 58,9% del 2006, nonostante il periodo sia stato caratterizzato, in particolare negli anni più recenti, da una bassa crescita dell’economia.
A ciò si deve aggiungere un andamento favorevole delle fasce tradizionalmente deboli del mercato del lavoro italiano. Le donne occupate, anche grazie allo sviluppo del part time, sono passate, negli anni considerati, dal 38,5% al 44,4% e al 46,3%, mentre gli “anziani” tra 55 e 64 anni sono cresciuti dal 28,3% al 29,5%, per arrivare nell’ultimo anno al 32,5%. Discorso a parte meritano i giovani, sulla cui occupazione incide la positiva riduzione dell’abbandono precoce dei percorsi educativi. Nel complesso l’occupazione rimane per lo più stabile perché i contratti a termine, inclusi quelli a contenuto formativo, rimangono ben al di sotto della media europea, in quanto non raggiungono il 10% del totale degli occupati e superano di poco il 13% dei lavoratori dipendenti nella media 2006.
Il tasso di disoccupazione, che rimane pur sempre un indicatore universalmente considerato, crolla dal 11,3% del 1997 al 8,6% del 2002 e al 6,8% del 2006 e nel Mezzogiorno si passa, negli stessi anni, dal 18,9% al 16,3% e al 12,3%.
La difesa della legge Biagi dai tentativi di controriforma invocati dalla sinistra politica e sindacale deve essere peraltro solo la premessa del futuro percorso riformatore. Mancano ancora molte leggi o normative secondarie regionali, essenziali per la diffusione dei servizi di collocamento nelle scuole, nei comuni o nelle forme associative locali e per la piena applicazione dei nuovi contratti di apprendistato.
Più in generale, deve trovare concreta attuazione quella politica di occupabilità che consiste nella offerta di robuste opportunità formative tanto nel passaggio dalla scuola al lavoro, quanto in tutta la vita lavorativa. Necessaria è altresì la Borsa del Lavoro, ovvero la compiuta attuazione del progetto di un sistema informativo al quale collegare tutti gli operatori che erogano servizi per l’impiego delle persone.
La tutela attiva dei disoccupati si realizza, poi, promuovendo i fondi bilaterali per il sostegno al reddito – che si aggiungono all’indennità di disoccupazione – e collegandoli a quelli per la formazione continua, come ai servizi pubblici e privati di accompagnamento al lavoro. Il nodo delicato rimane tuttavia l’effettiva applicazione della norma – già presente nell’ordinamento – che sanziona con la perdita del sussidio chi rifiuta opportunità di lavoro o di formazione.
In un contesto di maggiore protezione della disoccupazione diventa possibile riprendere il progetto dello Statuto dei lavori voluto da Marco Biagi, del quale il contratto a tutela progressiva costituisce il contenuto più emblematico. Esso prevede un più lungo periodo di prova, cui deve seguire un biennio nel quale il licenziamento senza giusta causa è tutelato con il risarcimento, per applicare l’art. 18 solo con il quarto anno.
Occorre ridimensionare il prelievo contributivo, i cui alti livelli sono causa non secondaria del lavoro sommerso. La revisione della tassazione sulle componenti virtuose del salario – perché collegate alla flessibilità organizzativa e alla produttività – può stimolare una maggiore competitività delle imprese, premiando il merito e l’impegno dei lavoratori.
Ragioni di equità e di generale interesse all’efficienza della macchina amministrativa impongono infine una crescente omologazione del lavoro pubblico al lavoro privato, ricostruendo in primo luogo nell’amministrazione pubblica il necessario rapporto gerarchico tra i vari livelli di responsabilità, in modo da identificare meriti e demeriti e quindi premi e sanzioni.



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