In alcune regioni del nord Italia si sta assistendo ad un fenomeno che sempre più diventa importante per descrivere alcuni aspetti di andamento del mercato del lavoro. Negli ultimi anni la “mobilità” dei lavoratori è sempre più in crescita con tassi di incremento elevati e che arrivano nel 2006 ad un tasso calcolato intorno al 40% (fonte CRISP- Centro di Ricerca Interuniversitario sui Servizi di Pubblica Utilità). La popolazione che cambia lavoro, dalle ricerche in corso, è caratterizzabile sostanzialmente in due grosse categorie: coloro che si muovono con percorsi di carriera “positiva”, sono pari a circa l’80%, cambiano lavoro senza grossi problemi o cogliendo opportunità di miglioramento sia contrattuale sia economico (retributivo); coloro che cambiano, il restante 20%, ma stentano a costruirsi un percorso professionale che gli consente una sicurezza, possiamo dire si muovono “a vista” tra opportunità altalenanti con rischio elevato di criticità. Di questo 20% fanno parte anche soggetti che per scelta cercano lavori per periodi brevi come ad esempio alcuni giovani che utilizzano dell’interinale per conciliare studio e lavoro.



Per tutte queste persone si aprono delle esigenze di servizi che ad oggi non trovano risposta completa nel nostro sistema per il lavoro. Una prima esigenza comune a tutti è quella di avere informazioni sulle opportunità di lavoro, domanda ed offerta, sulle prospettive o traiettorie del mercato in termini di settori, professionalità emergenti, sulle opportunità formative che possono aiutare il singolo ad intraprendere una strada che lo porti a migliorare la sua spendibilità nel mercato da un lato ed il suo livello di soddisfazione dall’altro. Si tratta di servizi informativi e consulenziali che darebbero a chi vuole muoversi o si deve muovere un sostegno ed un aiuto puntuale. Una seconda esigenza è più legata a coloro che fanno maggiore fatica nel muoversi autonomamente nel mercato e soprattutto non entrano in percorsi di maturazione e crescita professionale (persone che in alcuni anni si muovono in settori molto differenti con qualifiche professionali casuali senza ottenere quasi nessuna professionalità). Per questi soggetti, oggi sostanzialmente esclusi da politiche di intervento pubbliche, è presente un rischio di esclusione sociale rilevante. Il problema che si apre è quello relativo al modello di sistema dei servizi per il lavoro che si vuole portare avanti nel nostro paese. Le normative degli ultimi anni, a partire dalla legge Treu del 1997 per arrivare alla legge Biagi del 2003, hanno dato un contributo e posto attenzione al sistema dei servizi, liberalizzandolo e creando le condizioni di partecipazione, in un sistema a rete, tra pubblico e privato (vedi ad esempio l’avvio della Borsa Lavoro). Come accade spesso nel nostro paese, negli ultimi 2 anni con il nuovo governo è stato sostanzialmente dato uno stop al progetto.



Nonostante il sostanziale stop operativo allo sviluppo del progetto qualcosa è successo e continua a succedere. Le grandi imprese di somministrazione, con la cancellazione dello scopo unico di impresa, si stanno sempre più organizzando per diventare vere e proprie reti di servizi offrendo una sempre più ampio spettro di azioni: somministrazione, ricerca e selezione, formazione, outplacement. Sono nate in questi anni forme di aiuto, non profit, per aiutare le persone più giovani che abbandonano i percorsi scolastici a riprendere un ciclo di formazione che ponesse l’attenzione sul percorso scuola lavoro. Molte strutture di formazione professionale si stanno attrezzando per offrire percorsi formativi strettamente legati ad imprese operanti nei loro territori. Sono questi esempi di iniziative “dal basso”, sussidiarie, che per fortuna continuano ad esistere nel nostro paese. Sono l’esempio di una risposta ai bisogni delle persone che, valorizzati ed inseriti in una progettualità più ampia, potrebbero far nascere nel nostro paese un reale sistema di servizi a rete. Le caratteristiche principali di tale sistema sono la trasparenza informativa e l’identificazione di policy improntate allo sviluppo, in cui i diversi operatori possono trovare spazi comuni di cooperazione volti a migliorare da una parte la singola capacità competitiva dell’impresa (profit e non profit) o istituzione pubblica, e dall’altra creare spazi di mutualità verso coloro che fanno più fatica.

(foto Imagoeconomica)

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