Il bilancio dei primi mesi di attività del Governo è sicuramente positivo. Il giudizio non cambia neppure se si considerano le modifiche che il Senato ha dovuto apportare al testo votato dalla Camera, rendendo necessaria un seconda e definitiva lettura a Montecitorio. Le norme incriminate erano due: il comma 10 dell’articolo 20 riguardante la nuova disciplina dell’assegno sociale e l’articolo 21 presto definito (impropriamente) la norma antiprecari.
All’articolo 20 è stato modificato il comma 10 in materia di requisiti necessari per percepire l’assegno sociale, già peraltro oggetto di modifiche da parte della Camera dei deputati.
Al riguardo, è bene ricordare che possono fare richiesta della prestazione assistenziale dell’assegno sociale, che prescinde da qualsiasi versamento contributivo, i cittadini italiani, i cittadini di uno Stato dell’Unione Europea ovvero i cittadini extracomunitari in possesso della carta di soggiorno, purché residenti in Italia. L’assegno viene erogato solo al compimento dei 65 anni di età a condizione di non superare un certo limite di reddito (pari, per il 2008, a 5.142,67 euro, se non coniugato, e 10.285,34 euro se coniugato) e non è reversibile.
Il testo iniziale del decreto-legge disponeva che l’assegno sociale, a decorrere dal 1° gennaio 2009, fosse corrisposto agli aventi diritto a condizione che avessero soggiornato legalmente, in via continuativa, per almeno cinque anni nel territorio nazionale.
Il testo licenziato dalla Camera dei deputati, modificando il testo iniziale, aveva previsto l’aumento, da cinque a dieci anni, del periodo di soggiorno legale nel territorio nazionale necessario per la corresponsione dell’assegno sociale, e aveva inoltre introdotto un ulteriore requisito essenziale ai fini della corresponsione, consistente nell’aver lavorato legalmente per lo stesso periodo temporale con un reddito almeno pari all’importo dell’assegno sociale.
In seguito alle modifiche apportate dal Senato, resesi necessarie in considerazione delle incertezze interpretative sull’ambito soggettivo di applicazione della norma, è stato soppresso il requisito di aver prestato legalmente attività lavorativa con un reddito almeno pari all’assegno sociale per almeno dieci anni in via continuativa.
Pertanto, prevedendosi come unica condizione ai fini della fruizione dell’assegno sociale l’aver soggiornato legalmente nel territorio nazionale in via continuativa per un determinato periodo di tempo, viene in sostanza ripristinata la disposizione presente nel testo iniziale, con l’unica differenza di raddoppiare (da cinque a dieci anni) la durata di tale periodo.
Circa l’articolo 21, il testo originario del decreto legge è stato inizialmente modificato presso la Camera e in seguito nel corso dell’esame presso il Senato.
A seguito delle modifiche introdotte al Senato è venuta meno la norma di interpretazione autentica secondo cui le ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo che legittimano l’apposizione del termine devono essere determinate da condizioni oggettive, «quali il raggiungimento di una certa data, il completamento di un compito specifico o il verificarsi di un evento specifico».
Con la riformulazione del comma 1-ter e la soppressione dei commi 1-quater e 3-bis, che riguardano le su menzionate norme volte a sostituire, per alcune fattispecie di violazione della disciplina del contratto a termine, il principio della trasformazione del medesimo in contratto a tempo indeterminato con l’obbligo del pagamento di un’indennità, si intende chiarire, per evitare eventuali dubbi interpretativi, che la disciplina introdotta dalla Camera secondo cui, per i casi di violazione delle norme sui presupposti e sulle modalità relativi alla stipulazione del contratto a termine o alla proroga del medesimo il datore di lavoro è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro – e quindi non si verifica più la trasformazione a tempo indeterminato del contratto di lavoro – si applica solamente ai giudizi in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto-legge, fatte salve le sentenze passate in giudicato.