Le proposte di Renato Brunetta fanno sempre discutere anche quando vengono autorevolmente e significativamente smentite dalla Presidenza del Consiglio. E’ successo pure domenica scorsa.

Prendendo parte ad una trasmissione televisiva del primo pomeriggio (non ricordo bene su quale canale fosse, visto che non c’è molta differenza tra i programmi d’intrattenimento della Rai e quelli di Mediaset), il volitivo Ministro della funzione pubblica ha proposto di istituire un assegno di 500 euro mensili a favore dei giovani mettendo il relativo finanziamento a carico dei pensionati di anzianità.



Sul piano tecnico, il progetto mostra la corda sotto tanti aspetti. Cominciamo da quelli riguardanti il lato delle pensioni. Brunetta pensava forse ad un prelievo sui trattamenti in essere? Questa ipotesi sarebbe difficilmente percorribile perché andrebbe ad intaccare dei diritti acquisiti come sono i trattamenti erogati.



Un’operazione siffatta non sarebbe consentita. In passato vi sono stati interventi di tal natura – anche importanti – limitatamente ad un periodo di tempo definito e come misura solidaristica di carattere straordinario. In caso contrario (è già avvenuto) la Consulta, se investita del sindacato di costituzionalità per una norma che sancisca un prelievo stabile e permanente sulle pensioni, potrebbe cassare la disposizione in un batter d’occhio e dare ragione così ai ricorrenti.

Si potrebbe ipotizzare, allora, un ulteriore giro di vite sui requisiti per accedere alla pensione di anzianità: una misura che produrrebbe certamente dei risparmi.



A questo punto, però, si presenta un argomento, in senso contrario all’idea di Brunetta, sicuramente risolutivo, anche se lascia l’amaro in bocca a quanti ancora si dicono riformisti: il Governo, con i suoi ministri più influenti, non vuole sentir parlare di pensioni, come scelta di strategia generale. Al fondo di questa ritrosia non c’è soltanto una preoccupazione di carattere elettorale (guai a mettersi contro i pensionati, dicono), ma anche una scarsa capacità progettuale.

 

E’ sicuramente vero, infatti, che in Italia gli ammortizzatori sociali hanno sempre escluso gli inoccupati, diversamente da quanto avviene in altri paesi a più elevata moralità civile e dove l’amministrazione è più efficiente che da noi ed in grado quindi di perseguire gli abusi. Ma una “questione giovanile” esiste. Ed è molto complessa, in quanto lascia emergere un intreccio tra condizione di diffusa precarietà e di lavoro rifiutato.

 

In sostanza, i giovani finiscono spesso nel cul de sac della precarietà perché rifiutano lavori più stabili ma considerati poco gratificanti sul piano sociale. Le polemiche che hanno accompagnato l’emendamento di chi scrive al «collegato lavoro» sull’apprendistato non sono che l’espressione di un pregiudizio culturale nei confronti della manualità del lavoro a cui si contrappone l’iperuranio di una formazione, sgangherata ed inutile, come quella prefigurata dalla legge Fioroni che ha portato a 16 anni il diritto-dovere di istruzione.

 

E’ altrettanto vero, però, che sono stati i giovani a pagare il prezzo più alto nella crisi e a trovarsi sostanzialmente indifesi quanto a misure a sostegno del reddito (anche se il governo ha introdotto una prima forma di indennità una tantum per i collaboratori in regime di monocommittenza). Si tratta, quindi, di raccogliere gli inviti di Brunetta, magari in altre forme.

 

 

Sul versante delle politiche del lavoro, utilizzando tutti gli strumenti – che – al pari dell’apprendistato regolato dalla legge Biagi – possono coniugare lavoro e istruzione; sul versante degli ammortizzatori sociali, introducendo adeguate misure di tutela riguardanti tutte le figure professionali «economicamente alle dipendenze».

 

Infine, occorre mettere in cantiere una nuova riforma delle pensioni in grado di tutelare i lavoratori di oggi e di domani: quei giovani, appunto, che avranno una pensione inadeguata, non per colpa del sistema contributivo, ma in conseguenza di una vita lavorativa caratterizzata da discontinuità e precarietà, dal momento che la pensione non è altro che la proiezione nel tempo del lavoro.

 

Qui sta il valore della proposta bipartisan, presentata dal sottoscritto alla Camera e da Tiziano Treu al Senato, la quale prefigura per i nuovi assunti una pensione di base finanziata dalla fiscalità generale a cui aggiungere la pensione che ognuno si è pagato con i suoi contributi. Il governo continuerà ad essere sordo?