Il prossimo 4 ottobre le parti sociali si ritroveranno presso la sede romana di Confindustria per discutere di riforme per il Paese e per (provare a) condividere un piano sulla competitività e la produttività.

Nell’ottica di quanto scritto dal Ministro Sacconi nel recente Piano Triennale per il Lavoro, si tratta indubbiamente di un esempio di responsabilità degli attori datoriali e sindacali che il Governo non può che guardare con favore. Può essere un passo verso quelle relazioni industriali cooperative e partecipative di cui tanto si parla, ma poco si pratica. È un esempio di sussidiarietà nelle relazioni industriali: il dialogo tra le parti e la contrattazione collettiva sono le sedi privilegiate di regolazione del rapporto di lavoro e non bisognano dell’intervento statale laddove i partecipanti al tavolo riescono a decidere indipendentemente.



Il Ministro Sacconi, coerentemente con quanto ha sempre dichiarato sulla responsabilità degli attori negoziali, ha diffuso ieri una lettera inviata a coloro che parteciperanno alla riunione del 4. Nella missiva, posto il “nota bene” circa l’esistenza di delicati argomenti nei quali il decisore pubblico non può essere scavalcato (i vincoli di finanza pubblica su tutti), si legge la fiducia delle istituzioni nei corpi intermedi e nella loro capacità di garantire sviluppo, maggiore produttività e coesione sociale.



I temi concreti all’agenda dei lavori autunnali sono diversi. Le organizzazioni sindacali e datoriali sono state invitate negli ultimi mesi dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali a misurarsi, tramite intese o avvisi comuni, su molti fronti. Un primo grosso argomento è la bilateralità. Tutti i documenti prodotti dal 2008 dal Ministero competente hanno assegnato alla bilateralità e agli strumenti bilaterali come i fondi interprofessionali innovativa importanza.

La sfida della bilateralità sta nel verificare la capacità di non essere solo moltiplicatore di poltrone per gli addetti ai lavori e sede di costosi convegni generalisti, ma vero motore di quel welfare sussidiario e negoziale che le assegna compiti di controllo e governo del mercato del lavoro, di concorso nella strutturazione delle politiche attive, di collocamento e ricollocamento, di formazione e certificazione della formazione, di sostegno al reddito con ammortizzatori sociali integrativi.



La crisi, paradossalmente, rendendo evidente l’impossibilità dell’attore pubblico di rispondere a tutti i bisogni che pure, tradizionalmente, vengono a lui sottoposti, ha accelerato questo processo di responsabilizzazione di una nuova bilateralità che si ispira a quanto oramai è prassi in diversi Stati europei.

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Un secondo tema “caldo” è quello dell’individuazione di possibili semplificazioni, abrogazioni e ri-regolazioni di cui bisogna il diritto del lavoro italiano, nonché la definizione di un’area normativa derogabile dalle parti con intese e accordi collettivi. Si tratta di azioni che portano alla concretizzazione di quella riforma della disciplina lavoristica italiana che da più di un decennio è identificata con il nome di “Statuto dei lavori”, che potrebbe essere un Testo Unico del lavoro di carattere innovativo. Il Ministro Sacconi ha più volte ribadito che le parti sociali non possono non essere coinvolte in questo progetto e di conseguenza ha inserito questo argomento tra i temi toccati dalla lettera di ieri.

 

Anche il tema delle competenze, della formazione e del disallineamento scolastico ha trovato spazio tra le urgenze sottoposte all’attenzione di sindacati e datori di lavoro. Solo un’azione coordinata può determinare il successo di nuove misure di integrazione e raccordo tra sistema educativo di istruzione e formazione e mercato del lavoro. Lo dimostra l’esperienza dell’accordo per percorsi formativi in apprendistato per l’espletamento del diritto dovere di istruzione e formazione firmato lunedì da Regione Lombardia, MIUR e Ministero del Lavoro con il favore delle parti sociali.

 

Tra i punti all’ordine del giorno del 4 ottobre, ci sarà certamente il capitolo “partecipazione”. Dopo la consegna del Codice della Partecipazione, spetta ora alle parti sociali implementarlo e chiudere il tavolo specifico con delle ipotesi condivise di regolazione della materia da sottoporre alla attività parlamentare.

 

Da ultimo, la modulazione degli orari di lavoro allo scopo di incrementare la produttività e favorire la conciliazione tra tempo di lavoro e tempo di vita, nonché la connessione tra salario e produttività (è di pochi giorni fa una circolare esplicativa dell’Agenzia delle Entrate a riguardo della defiscalizzazione delle componenti di salario legate ad aumenti di produttività) sono ulteriori argomenti rispetto ai quali si confronteranno i protagonisti delle relazioni industriali italiane.

 

Si tratta, quindi, di un “menù” ricco quello che apparecchierà il tavolo del 4 ottobre. Ancor più corposo se si pensa ai tanti fatti dell’ultimo anno che hanno improvvisamente movimentato la vita delle relazioni industriali italiane (dalla riforma degli assetti contrattuali del 2009 alla “vicenda Pomigliano”). Sono tutte manifestazioni di un mondo che cambia velocissimamente e che certamente non si ferma ad aspettare chi rimane indietro.

 

La scelta che hanno davanti le parti sociali italiane (come quelle dell’intero mondo occidentale) è proprio questa: accelerare i cambiamenti e tenere il passo, o fermarsi, ostacolati da vecchie abitudini e consolidati pregiudizi, perdendo il contatto con quello sviluppo e quella crescita di cui parlano nella loro convocazione.

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