La crisi non è più quella del 2008. È mutata e investe pesantemente il mondo del lavoro e quindi, di riflesso, il mondo sindacale. Nel momento in cui il dissesto finanziario ha contagiato l’economia reale, le imprese sono andate in difficoltà e la disoccupazione ha cominciato la sua drammatica escalation. La crisi finanziaria ed economica è sfociata così in una crisi sociale che non è semplice controllare.
A Walter Galbusera, segretario della Uil lombarda, si chiede: la disoccupazione sta salendo negli ultimi mesi rispetto alla scorso anno. Che cosa fare per aumentare l’occupazione? Un problema specifico riguarda i giovani. Cosa fare per loro? “Purtroppo questo fenomeno era atteso, era stato messo in preventivo. C’è una ripresa importante. Una parte di disoccupazione è rientrata, ma un’altra parte si è consolidata. Ripeto, non è una sorpresa, ma il fenomeno va gestito e occorre cercare di risolverlo. Noi ci troviamo in una crisi che è diversa da quelle del passato. Il problema per una via d’uscita è quello di accelerare la ripresa. Il sindacato ha modificato le politiche contrattuali, ha scelto le contrattazioni articolate, aziendali, basandosi sulla produttività e sul merito. Tutto questo è più facile adottarlo nel settore privato, perché i criteri di giudizio si vedono dall’aumento della produzione, del fatturato di un’azienda. La vicenda è più complessa nel pubblico impiego, per uno schema rigido. In tutti i casi, alla svolta sindacale improntata sulla produttività, occorre che ci sia una risposta adeguata su alcune questioni: i servizi infrastrutturali insufficienti, il peso burocratico, il problema del credito alle imprese e anche la qualità degli imprenditori”.
La stessa domanda girata al segretario lombardo della Cisl, Gigi Petteni, ottiene un’identica risposta costruttiva. Dice Petteni: “Noi siamo preoccupati per la disoccupazione in generale, ma soprattutto per la disoccupazione giovanile, che riguarda innanzitutto i giovani che avevano contratti a tempo determinato o di quel tipo. Tutto questo deve essere affrontato con coraggio, sapendo che cosa può comportare una fase endemica di disoccupazione giovanile, con il rischio che i giovani vadano a finire magari nel lavoro nero. Il problema in questo caso è quello di individuare e di mettere a punto uno strumento concreto per superare questa fase. Noi lo abbiamo individuato questo strumento e ci permettiamo di suggerirlo: l’apprendistato. Dobbiamo puntare su questo strumento in modo più strutturato, aprendo una consultazione con la controparte e con le istituzioni. Sia chiaro che noi vogliamo creare opportunità, non assistenzialismo. Ma bisogna accompagnare questi giovani nella crescita sul lavoro e nella ricerca del lavoro”.
Qui si pone subito un’altra domanda: è necessaria una riforma degli ammortizzatori sociali? A quali condizioni? Come intervenire invece sulle politiche del lavoro? Dice Galbusera: “Occorre mantenere questo nuovo sistema sperimentale. Prima c’erano delle iniquità pazzesche, con dipendenti di grandi imprese che hanno sfiorato i 20 anni di Cassa integrazione, mentre il barista, il parrucchiere o comunque un dipendente di piccole imprese se ne doveva andare a casa. Ora il problema è proprio quello di affrontare delle politiche del lavoro. Qui mi permetto di dire che va bene, ad esempio, fare i corsi di formazione, se poi però c’è uno sbocco. Non ci si può fermare a un esempio come questo: imparo l’inglese e poi resto casa. Il nodo cruciale è che occorre fare formazione e nello stesso tempo indicare in quali settori del mercato del lavoro bisogna indirizzare giovani o meno giovani. È alla fine un problema istituzionale: sapere indicare le nuove figure professionali che sono necessarie per il mercato del lavoro attuale”.
Petteni suggerisce: “Innanzitutto noi chiediamo la copertura e l’estensione degli ammortizzatori sociali per il 2011. E la chiediamo in modo strutturato. Poi occorre fare delle politiche del lavoro attive. In una situazione come questa nessuno può stare a guardare. Il sindacato fa la sua parte, le imprese devono fare la loro così come le istituzioni. Un monitoraggio fatto bene consentirebbe anche a molte imprese, che contribuiscono alla spesa per gli ammortizzatori sociali, di riposizionarsi e favorire l’ingresso nel mondo del lavoro per molte persone”.
Rispetto a queste tematiche dove deve intervenire la Regione dove lo Stato? Galbusera sostiene che “in questa situazione, di fronte a disponibilità che vengono da parte delle Regioni, dello Stato e dell’Unione Europea, occorre innanzitutto evitare una sorta di ‘battaglia delle risorse’. Sono tutte risorse pubbliche e occorre saperle usare bene”. Appena di poco differente la posizione di Petteni: “Penso che la gestione in deroga alle Regioni sia più efficace, ha più capacità di intervento. Qui bisogna veramente intendersi ormai. Il vecchio fordismo, la realtà dell’organizzazione del lavoro nelle grandi fabbriche, è cambiata. E ogni realtà ha delle sue particolarità da esaminare concretamente”.
Veniamo a un tema che ha una grande risonanza mediatica: Pomigliano: può essere davvero un modello per tutta l’Italia (sia per le imprese che per i sindacati). Galbusera dice: “Su Pomigliano ho sentito dire e si dicono delle cose strabilianti. A un certo punto qualcuno può aver pensato che si era ritornati alla ‘servitù della gleba’. In realtà, considerando tutte le condizioni, la richiesta della Fiat per fare investimenti è una garanzia di normalità. Quando la Fiat ha proposto il terzo turno anche al sabato, i sindacati hanno risposto che ‘non era il caso’. E la Fiat ha detto ‘va bene’. Dopo di che, cosa succede? Il Cobas ha proclamato lo sciopero del sabato fino al 2014. Tutto questo è un atteggiamento incompatibile con l’industrializzazione. Qualcuno crede di avere fissato ‘la linea del Piave’ e invece non si accorge che è arrivata ‘Caporetto’. Aggiungo che se un simile fatto fosse avvenuto in Lombardia, nessuno avrebbe rifiutato e non ci sarebbe stata l’esposizione mediatica che si è avuta intorno alla vicenda di Pomigliano”.
È sulla stessa linea Petteni: “Dico solamente questo: mi auguro che ci siano tanti imprenditori che vengano in Lombardia e che si mettano a investire. Il rammarico è che invece sono al momento pochi quelli che vengono a investire. In passato abbiamo affrontato queste situazioni in diversi settori della produzione in tutta tranquillità e con le firme di tutti. Ripeto: di tutti”.
Veniamo all’ultima domanda: il comportamento della Fiom sta mettendo a rischio le relazioni industriali? Galbusera teme che questa sia un’eventualità possibile: “Certo che può comprometterle. In questo momento la Fiom si muove come un partito, una vecchia sacca di marxismo-leninismo. Detta forse in termini più semplici, si potrebbe aggiungere che ha sostituito il vecchio Pci. Anzi ha rovesciato un vecchio concetto: non è più il sindacato ‘cinghia di trasmissione del partito’, ma alcuni settori del Pd sono cinghia di trasmissione della Fiom nel loro partito. Nessuno può impedire che si formi un’ala radicale nel sindacato. Ma occorrerà ricordarsi che la grande maggioranza del sindacato italiano è lontano da quelle posizioni”.
Petteni è della stessa opinione: “Se invece del sindacato si fa un’altra cosa, bisogna assumersene anche la responsabilità. I nostri padri ci hanno lasciato in eredità questo principio: ‘Solo un sindacato. Noi vogliamo essere solo un sindacato’. E per questo ci muoviamo e lavoriamo. E per favore, lascino stare la Costituzione, perché quella è una cosa seria. E non aggiungo altro”.
(Gianluigi Da Rold)