«Gli uomini liberi, quando sono in coscienza convinti della bontà, della giustezza di una certa strada, [fanno] tutto quello che possono fare con i mezzi che hanno a loro disposizione per percorrerla malgrado ogni ostacolo, nell’interesse non solo di una organizzazione o di un gruppo, ma nell’interesse di tutti» (M. Romani, Risorgimento sindacale, p. 329).
Il tema del lavoro e delle rappresentanze sociali, che ne sono la principale fonte regolativa (le cosiddette Parti Sociali, ovvero le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati), continuano a essere al centro dei dibattiti nel Paese e sui media, in una realtà economica e sociale abbastanza critica, con una ripresa che è timidamente in atto, ma che non è ancora in grado di “trascinare” posti di lavoro aggiuntivi.
In questo autunno appena iniziato, la cassa integrazione, compresa quella in deroga (applicata anche nelle piccole e piccolissime imprese) tende a mascherare una situazione di disoccupazione sostanziale: i giovani, in particolare, faticano a trovare soluzioni stabili di lavoro, le imprese risultano timide ad avviare nuovi investimenti, anche per le perduranti difficoltà sia sul fronte del credito che delle autorizzazioni burocratiche.
Un panorama quindi non confortante, che, tuttavia, non può paralizzare o rappresentare una obiezione per chi è impegnato seriamente con la realtà del lavoro, in particolare per chi ricopre ruoli e funzioni di rappresentanza e di responsabilità nel disegnare regole (o innescare stimoli) sull’area della contrattazione collettiva, principale strumento del dialogo sociale.
Infatti Cisl, Uil e altri sindacati minori hanno manifestato, negli ultimi anni, un livello di elevata consapevolezza, di fronte a uno scenario in fase di rapido deterioramento: i coraggiosi atti di responsabilità, che vanno dalla firma di accordi per le riforme degli assetti della contrattazione (2009), i contratti collettivi rinnovati prima delle loro scadenze e senza scioperi e, non da ultimo, le intese (votate a larga maggioranza dai lavoratori interessati) per rilanciare e consolidare i nuovi progetti di Fiat in Italia, imposti dai nuovi scenari della competizione globale ma anche frutto di una scelta del management, di cui Sergio Marchionne ha dato conto lucidamente al Meeting di Rimini in agosto, hanno innescato una discussione “paradossale”, complice una Cgil e la sua federazione dei metalmeccanici (Fiom), che non hanno firmato nessun atto, nessun accordo, tradendo la funzione sindacale (che è quella di trovare soluzione ai problemi e non il suo contrario), caratterizzandosi come un movimento politico e sociale, in presunta supplenza di una sinistra al declino.
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A proposito delle cosiddette “deroghe contrattuali” non ha nessun costrutto invocare il tradimento dei diritti o lo stravolgimento della Costituzione; si tratta, invece, di adeguare norme, peraltro abbastanza obsolete, o di costruirne nuove e più adeguate alla realtà. Infatti negli altri settori, dalla chimica all’alimentazione, dall’energia al tessile e altri, è normale che una impresa che intende investire venga “agevolata” nell’utilizzo degli impianti, con particolari forme di retribuzione, con soluzioni ad hoc, magari temporalmente definite e di transizione, in un incontro di reciproche convenienze per l’impresa stessa, i lavoratori attuali e futuri e il territorio circostante.
In questo senso il tema dei contratti collettivi continuerà a tenere banco e non è un caso che, forse, la Cgil di Susanna Camusso (che dal prossimo 3 novembre sostituirà Epifani) ha intravisto la possibilità di tornare in gioco, per non continuare a essere “fuori” dai processi decisionali: le prime prove le abbiamo notate a Genova, nel Convegno di Confindustria degli scorsi giorni.
In definitiva, anche la contrattazione pone a tema la libertà, la libertà delle Parti sociali, delle rappresentanze sociali, nel perseguire cose utili e adeguate alla realtà, nella prossimità alle persone coinvolte, delle imprese e delle comunità che abitano e vivono nei territori di questo nostro Paese; questo a noi pare la posta in gioco, più che l’ossequio a schemi e procedure figlie di un passato che non possiamo più permetterci.