Quest’estate mentre ero in vacanza mi è capitato di leggere sul Foglio un articolo di Edoardo Rialti sul Padrone del mondo di Robert Hugh Benson contro il dogma dell’autosufficienza umana. Leggendo tale pagina mi è venuto spontaneo dire a mia moglie: “Come desidererei che i nostri figli maturassero una coscienza così a prescindere da qualunque tipo di lavoro andranno a fare, fosse anche l’occupazione più umile”. Un genitore dovrebbe infatti essere contento che suo figlio arrivi a esprimere una simile consapevolezza di se stesso e della realtà. Dovrebbe desiderarlo più ancora di ogni sua fortuna lavorativa.



Spunti dall’esperienza personale ai quali ritorno leggendo quanto scrive Benedetto XVI nel suo messaggio per la Giornata mondiale della gioventù: «La domanda del posto di lavoro e con ciò quella di avere un terreno sicuro sotto i piedi è un problema grande e pressante, ma allo stesso tempo la gioventù rimane comunque l’età in cui si è alla ricerca della vita più grande». Senz’altro il lavoro è uno strumento fondamentale per la realizzazione della persona e per dare una maturità alla propria vita. Lo è anche dal punto di vista sociale perché assicura le risorse per farsi una famiglia. Quindi andrebbe riformato ogni sistema economico incapace di creare occupazione che in modo miope alla lunga segna anche la sua fine.



Ma l’orizzonte che ci indica il Papa è più largo. Tiene dentro tutti questi aspetti, ma proprio per collocarli in una giusta prospettiva, ci invita a guardare più in là. Chi vive riponendo le proprie speranze solo sul lavoro è infatti inevitabilmente destinato al fallimento. Sono tanti gli esempi di persone con floride carriere alle spalle ma dagli esiti umani disastrosi. Dalla rincorsa esasperata di una posizione in tanti casi sono venuti solo motivi di grande disagio personale e sociale di fronte alle inesorabili smentite della realtà.

Oggi spesso, però, con la crisi la questione sembra di tipo opposto: quella di non riuscire a trovare un impiego. È una questione seria molto personale che va affrontata rimettendosi in gioco. Sarebbe infatti un errore vedere come un problema assoluto la crescente disoccupazione e la precarietà che interessa una significativa porzione di popolazione. E aspettare risposte dall’alto che non arrivano, inaridendosi in continue lamentele.



Se si guarda al passato tante volte è stato proprio nei momenti di maggiore difficoltà che sono nate cose nuove e alcune fra le iniziative più interessanti. Si è sprigionata una creatività che ha saputo aprire strade sino ad allora inesplorate diventate capisaldi su cui si sono costruiti imprese e percorsi lavorativi.

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Anche di fronte alla crisi che distrugge posti di lavoro, tutto dipende da come ci si pone. Non ci sono condizioni esterne, per quanto complicate e difficili, che tengano. Nelle crepe della vita si può sempre aprire lo spazio di un’esperienza nuova. È evidente che il mondo è cambiato e che il cosiddetto posto fisso diventerà una merce sempre più rara. Per tali motivi è ancor più fondamentale far leva sulla capacità delle persone di mettersi insieme, di sviluppare un’intelligenza creativa che sappia tradursi in lavoro, di ripensarsi continuamente. E questa, come dimostrano molti esempi, può diventare anche un’esperienza affascinante.

 

Nel suo messaggio il Papa scrive che «è parte dell’essere giovane desiderare qualcosa di più della quotidianità regolare di un impiego sicuro e sentire l’anelito per ciò che è realmente grande». Mi chiedo se non sia sintomo preoccupante di un paese invecchiato quello di prospettare ai giovani, dietro la retorica del posto fisso e delle garanzie, il paradigma di un lavoro che ha nella routine dell’impiegato con carriera programmata la sua icona. Perciò se la crisi può essere un’occasione per introdurre aria nuova in una società che si è ripiegata su se stessa, per tornare a impegnarsi nella sfida per ciò “che è realmente grande”, ben venga.

 

Per quanto mi riguarda posso testimoniare come la mia attività lavorativa è stata resa viva e interessante più che dagli obiettivi di carriera, dall’aver tenuto desto il desiderio di compimento che ci fa vivere con stupore e passione ogni giorno. I miei compagni degli anni dell’adolescenza mi ricordano sempre una mia ripetuta implorazione a Dio affinché mi rendesse il lunedì uguale al sabato e alla domenica. Mi rattristava infatti vedere le persone che cambiavano di umore fra la fine e l’inizio della settimana per il tormento di tornare al lavoro. Posso dire di esserci riuscito e vi assicuro che non è cosa da poco.

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