Il nostro paese prosegue, seppur lentamente, il suo cammino di ripresa economica, ma resta il problema della disoccupazione. Anche il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, lunedì scorso ha detto che si corre il rischio “di avere ripresa senza occupazione, o con poca occupazione”.

Tutta l’Italia è quindi chiamata a rispondere a questa sfida, compresi i sindacati, oggi al centro di importanti trattative e processi di riforma per il nostro paese. Ne abbiamo discusso con Luigi Angeletti, Segretario generale della Uil.



 

Angeletti, la disoccupazione, in particolare giovanile, resta un problema per l’Italia. Cosa fare per aumentare l’occupazione?

A differenza di quello che molti erroneamente pensano, l’occupazione non è una derivata della politica, ma dell’economia. Se si potessero creare posti di lavoro per legge, avemmo già risolto il problema da molto tempo: ma non funziona così. Si crea occupazione e buona occupazione se le imprese generano lavoro e se si fanno investimenti produttivi. Poi, certo, se si realizzassero anche politiche fiscali adeguate a sostenere la domanda interna, questo potrebbe rappresentare uno stimolo ai consumi e quindi un input per la produzione di beni e servizi delle nostre imprese, con ripercussioni positive anche per l’occupazione



Secondo lei è necessaria una riforma degli ammortizzatori sociali?

È bene ricordare che, proprio grazie a un’accorta politica degli ammortizzatori sociali, da noi sollecitata con particolare determinazione, il nostro Paese è riuscito a limitare le conseguenze della crisi sugli assetti occupazionali. Occorre ora rendere strutturali alcuni provvedimenti a tutela di quelle categorie di lavoratori più deboli per consentire loro di restare in contatto con il mondo del lavoro.

Il ministro Sacconi vi ha inviato la bozza dello “Statuto dei lavori”, che intende approvare entro l’anno. Siete favorevoli a questo progetto di riforma?



Per certi aspetti, lo Statuto dei lavori va proprio nella direzione di cui parlavamo prima: è una rivendicazione della nostra Organizzazione per dare risposte efficaci alla rapida evoluzione del mercato del lavoro. Nuove forme e nuove modalità occupazionali richiedono un’estensione delle tutele e un’attenzione particolare alle esigenze dei giovani e delle donne. È da apprezzare, inoltre, il metodo che prevede non una consultazione delle parti sociali, ma un loro coinvolgimento nella forma dell’avviso comune. Può iniziare ora un percorso per approdare a un testo condiviso, con l’obiettivo di tutelare chi lavora, ma anche di sostenere chi vive le difficoltà di una condizione di precarietà.

 

Poco più di un mese fa, siete scesi in piazza insieme alla Cisl per chiedere una riforma fiscale. Come procede il tavolo aperto con il Governo?

 

Il percorso è lungo: una riforma fiscale compiuta richiede tempo. Ma abbiamo iniziato a lavorare bene e su questioni concrete. Le parti sociali stanno presentando alcuni testi con specifiche proposte. Per quel che ci riguarda, abbiamo ribadito la necessità di ridurre le tasse sul lavoro aumentando le detrazione per i lavoratori dipendenti e i pensionati. Così come abbiamo chiesto un bonus per ogni figlio a carico e un aiuto per i non autosufficienti. Un risultato parziale ma importante lo abbiamo già conseguito grazie al rinnovo e all’estensione del provvedimento sulla detassazione degli aumenti salariali di produttività.

 

Il ddl stabilità, che ha iniziato il suo iter parlamentare, contiene anche misure per lo sviluppo. Rispondono in qualche modo alle richieste che avete presentato nel “patto sociale” con gli altri sindacati e Confindustria?

 

Il tema dello sviluppo è centrale per il nostro Paese. Dunque, qualunque iniziativa e, soprattutto, qualunque provvedimento governativo che si ponga questo obiettivo non può che trovarci concordi. Anche le parti sociali stanno cercando di dare il proprio contributo avendo dato vita al tavolo sulla competitività. Al momento, non c’è ancora un “patto”: vanno sciolti alcuni nodi relativi a tre capitoli e, in particolare, a quello sulla produttività, che noi consideriamo decisivo perché si possa parlare di un contributo serio della parti sociali alla crescita della nostra economia.

 

Cosa pensate del clima politico attuale? Si parla governo istituzionale o di ritorno alle urne. Quale ipotesi, secondo voi, sarebbe preferibile?

 

Rispondo con una battuta. Per noi la priorità è la governabilità. Il voto di per sé non è auspicabile ma, se non si riesce a governare, diventa ineluttabile.

 

Come procedono le trattative con Fiat su Fabbrica Italia? Oltre che a Pomigliano, si parla di una newco anche a Mirafiori. Cosa ne pensate?

Il progetto va avanti e Pomigliano ha rappresentato una prima importantissima tappa. Sono anni che chiediamo alla Fiat di consolidare e accrescere la produzione di auto negli stabilimenti italiani. Li abbiamo convinti e l’accordo di Pomigliano, che porta la produzione della Panda in Italia, garantendo così occupazione e futuro a quello stabilimento, è una vittoria dei sindacati e dei lavoratori. Ora occorrono accordi anche per rilanciare gli altri siti, a partire da Mirafiori. Ma sarebbe un errore pensare che si possa esportare il cosiddetto “modello Pomigliano” negli altri stabilimenti della Fiat: ogni singola fabbrica è una realtà a sé stante con le sue specificità che richiedono approcci e soluzioni diversificate.

 

Dall’accordo di Pomigliano si è cominciato a parlare di “modello Marchionne”. Credete che questo possa cambiare in positivo il sistema Paese oppure ha ragione chi ritiene che si compiano strappi alla democrazia e ai diritti costituzionali?

 

Chi parla, con riferimento alla vicenda Fiat, di strappi alla democrazia e ai diritti costituzionali, mente sapendo di mentire o non sa di cosa parla. Negli stabilimenti Fiat esistono più tutele e più diritti che in altri stabilimenti europei. Così come in tantissimi altri posti di lavoro, ogni tre anni, nel segreto dell’urna, i lavoratori scelgono i loro rappresentanti sindacali. A Pomigliano, c’è stato un referendum con cui i lavoratori hanno detto sì all’accordo. Non è stato intaccato alcun diritto, men che meno un diritto costituzionale. Al contrario, con quell’accordo, sarà garantita l’occupazione in una realtà difficile dal punto di vista sociale come è la Campania e ci sarà anche una crescita del salario in presenza di maggior lavoro. Sono questi i risultati a cui deve puntare un sindacato.

 

L’atteggiamento della Fiom rischia di mettere a rischio le relazioni industriali o di creare comunque problemi nei rapporti tra le tre confederazioni?

 

La Fiom ha una visione tutta politica dell’essere sindacato: è una scelta e un problema suo. Le relazioni industriali proseguono per la loro strada: negli ultimi dieci anni, su quattro rinnovi contrattuali la Fiom ne ha firmato uno solo, eppure i metalmeccanici e anche i loro iscritti hanno continuato ad avere aumenti salariali grazie agli accordi firmati da Uilm e Fim. Per i lavoratori, che sono quelli che contano realmente, non vediamo dov’è il problema. Da questo punto di vista, quel che sarà dei rapporti tra le tre confederazioni, non è decisivo. Vedremo se la Cgil avrà intenzioni serie di riprendere il filo del dialogo che ha interrotto con Uil e Cisl proprio sul punto centrale dell’azione sindacale: la riforma del sistema contrattuale.

 

La Cgil scenderà in piazza il 27 novembre. Condividete le motivazioni di questa manifestazione?

 

Sinceramente non ricordo quali siano le motivazioni della manifestazione della Cgil. So solo che se la Cgil vuole ricostruire un percorso unitario, questa non è la strada giusta.

 

(Lorenzo Torrisi)

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