Oggi i sindacati incontreranno a Torino la Fiat per parlare del futuro dello stabilimento di Mirafiori. E domani la Cgil sarà in piazza a Roma per una manifestazione nazionale dal titolo “Il futuro è dei giovani e del lavoro”, da sola senza le altre due storiche sigle confederali italiane, Cisl e Uil. Sarà un appuntamento importante per il sindacato di Corso Italia, soprattutto per il suo nuovo segretario generale, Susanna Camusso, protagonista di questa conversazione con ilsussidiario.net.
Quali sono le ragioni e le richieste della manifestazione di domani?
Dietro le parole “Il Futuro è dei giovani e del lavoro”, la richiesta che faremo è quella di cambiare radicalmente l’agenda politica del paese mettendo al centro il futuro. Un futuro che può delinearsi soltanto attraverso l’adozione di una strategia, di una missione per il paese, che passi attraverso la centralità dei giovani e dell’intero mondo del lavoro. Perché è soltanto nel lavoro che il paese può trovare una via d’uscita dalla devastante crisi economica e sociale che da oltre due anni attanaglia il paese; il lavoro e la sua dignità sono il solo antidoto al degrado morale e civile che imperversa e come un cancro attacca le istituzioni stesse; il lavoro inteso come sinonimo di futuro che, insieme a un ritrovato solidarismo e all’uguaglianza, può contrastare l’immobilismo e le scelte sbagliate di questo governo.
Oggi si terrà invece l’incontro tra sindacati e Fiat su Mirafiori. Qual è la sua opinione sulla questione di Pomigliano d’Arco e sul comportamento di Marchionne?
Sullo stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco, sul tentativo fallito di barattare diritti per lavoro, ci siamo espressi, ma ancor di più si sono espressi i lavoratori della Fiat. Noi chiediamo da giorni di capire concretamente cosa è “Fabbrica Italia”, cioè che cosa vuol dire in termine di modelli, di produzione, di cose da fare e dunque di quanto lavoro sarà necessario e disponibile. È quest’ambiguità di fondo nel comportamento di Marchionne, che si dimostra essere dispotico nei confronti dei lavoratori e muto sulle prospettive del gruppo, che non ci convince e ci fa dire che la testa del gruppo, insieme alla futura produzione, è ormai fuori dai confini del paese.
Che tipo di orientamento terrà, in qualità di nuovo segretario generale, verso la Fiom?
Noi non rinneghiamo le scelte fatte: in Cgil le decisioni sono frutto di una responsabilità condivisa e non di un leaderismo che non ci appartiene. Dico questo perché non siamo alla ricerca della “discontinuità”. La Cgil ha condiviso le scelte della Fiom per quanto riguarda il rinnovo del contratto dei metalmeccanici fino alla scelta di Pomigliano, passando dalla critica dura alle deroghe imposte da Federmeccanica al contratto nazionale. Ciò che sosteniamo però è che la contrattazione va rilanciata – sull’asse del Sì alle regole e No alle deroghe senza limitarsi alla conservazione, ma ricercando l’innovazione – come lo strumento fondamentale del sindacato ricercando nei risultati le cose da valorizzare.
E verso Cisl, Uil e Confindustria?
Quanto a Cisl e Uil diciamo di avviare un percorso comune che parta da una soluzione pattizia sulle regole della rappresentanza e della democrazia. Con il sistema delle imprese, invece, si è aperta una possibilità di discussione, adesso che pare si siano “disamorate” del governo per l’assenza di risposte. Vediamo, misuriamo i contenuti, noi non abbiamo paura di confrontarci con gli altri, non ne abbiamo mai avuta, così come non ci autoescludiamo dai tavoli e non ci sottraiamo al confronto, perché per noi ciò che decide è il merito.
Come giudica l’attuale organizzazione del lavoro? Ritiene necessaria una profonda revisione delle sue logiche?
Non posso che reputarla vessatoria nei confronti del lavoro. Il modello liberista della finanza e delle precarietà è fallito. Lo avevamo previsto nel 2003: qualcuno ci tacciò come Cassandre, ma il tempo ci ha dato ragione. La crisi economica richiede una radicale revisione delle logiche dell’organizzazione del lavoro, ma soprattutto deve imporre una priorità dalla quale ripartire. Mettiamo da parte le alchimie della finanza, quella fallimentare profezia che credeva di generare soldi attraverso i soldi, e rimettiamo al centro dell’agenda paese il lavoro e la produzione. Sono i motivi che hanno guidato la nostra mobilitazione negli anni, è il motivo per il quale ci ritroveremo in piazza domani per costruire il futuro di un paese migliore, più democratico, più giusto e solidale.
Come bisogna affrontare, a suo parere, il problema della disoccupazione e della scarsa produttività del nostro paese?
Per noi il punto di riferimento rimane il piano per l’occupazione che abbiamo proposto al Congresso. Un piano straordinario che investendo sul lavoro può dare, come detto, un futuro al paese, il solo possibile contro il declino. Quanto alla scarsa produttività, noi non crediamo che il problema risieda nella sola produttività del lavoro, come molti sostengono – tantomeno nella risoluzione che si vuole dare con la detassazione del salario variabile – ma in un problema più generale e più complesso di produttività di sistema, dove incide la mancanza di infrastrutture, lo scarso valore aggiunto della produzione e altre questioni ancor più rilevanti della sola produttività del lavoro. D’altronde lo stesso Marchionne qualche mese fa sosteneva che il lavoro diretto rappresenta il 6-7% del totale costo del prodotto. Non è quindi nel lavoro che risiede la scarsa produttività del paese, ma in una rete più complessa di problemi che hanno a che fare con l’intero sistema della produzione.
La sua esperienza di lavoratrice e madre le sarà utile nell’affrontare i nodi ancora aperti della conciliazione tra famiglia e lavoro? Quali sono le azioni che il sindacato intende promuovere in questo campo?
È ancora difficile affermare alcuni diritti elementari per le donne come, ad esempio, la maternità e la conciliazione dei tempi di vita. Diventa anzi quasi più difficile rivendicare diritti in tempi di crisi economica, di precarietà abusata. Tempi dove, inoltre, l’immagine della donna è legata sempre di più al mercimonio. Noi vogliamo continuare a tessere e a trovare dei punti d’incontro tra famiglia e lavoro, passando per un rinnovato protagonismo di quella contrattazione sociale e territoriale che, insieme alla contrattazione diciamo così “classica”, è lo strumento fondamentale per dare centralità al tema fondamentale del rapporto tra lavoro e cittadinanza.