In Italia il Pil ha ricominciato a crescere, dopo un’annata decisamente negativa. Tuttavia la disoccupazione resta un problema serio nel nostro Paese, così come nel resto del mondo. Esistono poi altre sfide aperte in Italia sul tema lavoro, dal cosiddetto “modello Marchionne”, che ha ripercussioni anche sul mondo sindacale, alla stesura dello Statuto dei lavori. Un progetto, quest’ultimo, su cui punta molto il ministro del Lavoro e delle Politiche sociali, Maurizio Sacconi, protagonista di questa intervista.



Ministro, al di là del balletto sulle cifre, la disoccupazione resta un problema serio per l’Italia. Come affrontarlo?

 

I dati sulla disoccupazione rimangono certamente al centro della nostra attenzione, ma oggi sarebbe colpevole non riconoscere quel differenziale positivo rispetto alla media europea. Per quanto pregevole nelle intenzioni, la stima del sottoutilizzo del capitale umano effettuata da Bankitalia che include disoccupati, cassintegrati e scoraggiati, non rappresenta un calcolo alternativo al tasso di disoccupazione che, definito da Eurostat e applicato in tutta Europa, rappresenta il benchmark di riferimento internazionale. Se è vero che la disoccupazione resta elevata è anche vero che le imprese denunciano posti vacanti con un rapporto dieci a uno. C’è un forte divario tra le richieste dal mercato del lavoro e le competenze dei lavoratori e spesso, anche con le necessarie competenze, chi cerca e chi offre lavoro faticano a incontrarsi. In un contesto come questo l’eccesso di sussidi può rallentare la spinta a migliorarsi o a cercare un altro lavoro. Le tradizionali politiche, orientate a proteggere il reddito, vanno affiancate da servizi rivolti all’aggiornamento, alla conversione delle competenze, da un sistema educativo e formativo capace di adattarsi a un mondo che cambia più velocemente e da strumenti che facilitino la circolazione delle informazioni come il neonato portale “clic lavoro”.



I giovani sono certamente i soggetti che più risentono dei problemi occupazionali. Quali possono essere gli interventi utili per affrontare questo problema?

 

I dati ci dicono che in tutto il mondo sono i giovani a pagare il maggior prezzo della disoccupazione. Ciò vale anche in Italia. I nostri giovani approdano nel mondo del lavoro tardi e forse anche per questo, sbagliando, spesso sono restii ad accettare, anche temporaneamente, lavori che vedono come sotto qualificati, cosa che non accade in altri Stati. Gli studenti di oggi rappresentano la forza lavoro del domani. Su di essi bisogna agire per prevenire quei tipici fenomeni molto italiani che potremmo definire “disadattamento scolastico” e “disallineamento formativo”. È necessario orientare i ragazzi sulle prospettive occupazionali dei percorsi scolastici che stanno per intraprendere, formarli in funzione dei bisogni effettivi del mercato (in questa direzione va la riformulazione su base provinciale e scadenza trimestrale dell’indagine Excelsior voluta dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali) e soprattutto incentivare esperienze on the job. Anche perché il forte dinamismo che qualifica la nostra società rende necessario alla persona di dotarsi di competenze e di abilità che gli permettano di adeguarsi alla velocità con la quale cambia il mercato del lavoro.



Il mercato del lavoro sembra richiedere più mobilità. In che modo le persone possono essere aiutate a conoscere meglio le opportunità lavorative e a essere supportati nei momenti di passaggio da un’occupazione all’altra?

In un mercato del lavoro sempre più flessibile è fondamentale dotare gli attori di strumenti di placement adeguati, in grado di collegare le informazioni tra domanda e offerta in tempi strettissimi. Già la legge Biagi assegnava, per esempio, agli atenei il compito di sostenere i propri laureati nella fase di inserimento nel mercato del lavoro attraverso adeguati strumenti. Anche ora incoraggiamo la creazione di efficienti uffici di placement nelle nostre università e nel Collegato Lavoro abbiamo formalizzato l’obbligo per gli Atenei di rendere pubblici i cv dei laureati. Più recentemente il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha attivato il portale istituzionale clic lavoro che consente a cittadini e imprese di pubblicare candidature e offerte di lavoro, facendo da punto di sintesi tra i molteplici motori di ricerca per il matching tra domanda e offerta presenti in rete.

 

Gli ammortizzatori sociali sono stati aumentati ed estesi a lavoratori e imprese che prima non ne beneficiavano. Crede che necessitino comunque di una riforma? La Cgil recentemente ne ha proposta una: cosa ne pensa?

 

La proposta della Cgil, che mira a istituire un sistema di ammortizzatori sociali universale e realizzato attraverso un impianto su base assicurativa, va bene se unita a un sistema autosostenibile che poggi sulla contribuzione. Questa proposta è ispirata al sistema che noi stessi abbiamo progettato e che nel tempo stiamo affinando (si pensi agli interventi straordinari con gli ammortizzatori in deroga). La razionalizzazione degli ammortizzatori sociali dovrà essere coerente con il completamento dello Statuto dei lavori che abbiamo in cantiere. Anche per il 2011 le risorse saranno più che sufficienti per proteggere il reddito, che è un obiettivo primario. Accanto a questo dobbiamo sempre di più riuscire a integrare le forme di protezione del reddito con l’accompagnamento della persona a una forma di attività o formativa o lavorativa. Non si dimentichi, comunque, che il nostro sistema di ammortizzatori che tanto è stato denigrato da economisti ed “esperti” ha permesso all’Italia di attraversare la crisi con tassi di disoccupazione più bassi di quelli europei, poiché predilige la difesa del posto di lavoro piuttosto che il sussidio (passivo) di disoccupazione.

 

Lei ha annunciato che entro fine anno presenterà lo Statuto dei lavori. Ci può anticipare come sarà?

 

Quarant’anni fa lo Statuto dei lavoratori fu voluto dai riformisti e contestato dai comunisti e divenne uno strumento che per molti anni si è rivelato funzionale a incoraggiare un lavoro di qualità. Si tratta però di un testo di matrice pubblicista e statualista, che inevitabilmente riflette assetti di produzione dominati dalla grande fabbrica industriale ora superati. A distanza di quarant’anni possiamo pensare a una regolazione di legge più essenziale, riferita ai diritti fondamentali nel lavoro, che devono essere necessariamente riconosciuti a tutte le persone. Fermi i diritti, le singole tutele potranno invece essere rinviate alla responsabilità delle parti sociali e alla loro capacità di reciproco adattamento nei diversi contesti territoriali, settoriali, aziendali. In questo modo è possibile conciliare le esigenze della competitività con quelle della promozione di un lavoro di qualità. La sfida è la stessa del 1970: superare una mentalità di mera conservazione dell’esistente per formalizzare un sistema di tutele moderne tali da consentire il pieno sviluppo della persona attraverso il lavoro e nel lavoro.

 

Il Collegato lavoro ha ricevuto critiche, in particolare sull’arbitrato. Cosa ne pensa?

Con il Collegato lavoro abbiamo tentato di facilitare la risoluzione delle controversie di lavoro. Saranno tuttavia i contratti collettivi di lavoro a regolare la materia secondo quanto concordato con tutte le organizzazioni dei lavoratori e dei datori di lavoro, tranne la Cgil. Il diritto sostanziale del lavoro non è stato minimamente toccato. Ora i lavoratori hanno un’opzione in più per fare valere i loro diritti. Un’opportunità a vantaggio soprattutto di quelli che non sono tutelati da altre norme del nostro ordinamento. L’arbitrato per equità offre una più tempestiva soluzione dei conflitti di lavoro in un Paese gravato da un contenzioso enorme: 1,5 milioni di cause pendenti cui si aggiunge un flusso di 400mila nuove cause l’anno per una durata media dei giudizi che va dai cinque ai sette anni se il procedimento arriva in Cassazione.

 

Si parla molto del cosiddetto “modello Marchionne”. Ritiene che quanto sta dicendo e facendo l’ad di Fiat possa contribuire a un cambiamento positivo per l’Italia?

 

L’accordo di Pomigliano rappresenta uno dei simboli del nuovo sistema di relazioni industriali che si concretizzano attraverso accordi decentrati, la cui prerogativa è l’adattabilità al territorio e alle aziende. La nostra ambizione è una collaborazione fra Stato e Società, una collaborazione sulle politiche del lavoro, fra istituzioni, parti sociali, imprenditori e lavoratori, soggetti capaci di comprendere il cambiamento. Qualcosa si sta già muovendo. Basti guardare ultimamente al ruolo dei sindacati che stanno dimostrando di cogliere il cambiamento richiesto dalla fase di transizione in atto e di volerla governare, anche scontando un complicato dialogo con i propri iscritti.

“Meno stato e più società” è il contesto nel quale le aziende e le organizzazioni sociali non sollecitano più solo sussidi pubblici, ma chiedono innanzitutto spazio per prendersi responsabilmente a carico la costruzione di nuovi paradigmi di sviluppo. I corpi intermedi non appaiono più aggrappati ai bilanci pubblici, come in passato, ma capaci di organizzarsi liberamente per determinare maggiore produttività, e quindi maggiore reddito, nonché welfare privato per gli associati. In questo contesto la Fiat guidata da Marchionne nella vicenda di Pomigliano ha fatto da apripista.

 

Imprese e sindacati hanno elaborato un “patto sociale” per sottoporlo al Governo. Tra i punti anche alcuni che riguardano lavoro, salari, ammortizzatori sociali. Cosa ne pensa?

 

Il tavolo tra le parti sociali è stato certamente un positivo esempio di relazioni di lavoro finalmente partecipative. Ho sempre sottolineato la fiducia nei corpi intermedi. Come ho recentemente scritto nel Piano triennale del lavoro, credo nella loro funzione sussidiaria per il conseguimento di obiettivi di maggiore produttività e coesione sociale. I documenti prodotti dal “patto sociale” sono sicuramente interessanti, sebbene pongano delle richieste di spesa pubblica che, pur meritando la massima considerazione, vanno lette nell’ambito delle limitatissime possibilità di bilancio attuali e ben conosciute da tutti. I titoli sono condivisibili, ma per noi è complessa la quadratura del cerchio.

 

(Lorenzo Torrisi)

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