La crisi impone un cambiamento di paradigma allo sviluppo. Basta osservare gli effetti che le nuove tecnologie hanno introdotto nella nostra vita, rompendo i confini tradizionali dello spazio e del tempo. I sistemi produttivi vivono progressivamente una competizione con cicli sempre più brevi: il cambiamento diventa sempre più la situazione di normalità e sempre meno l’eccezione. Tutto ciò ha un riflesso immediato non solo sul modo di produrre, sulla sua organizzazione, ma anche sulla formazione del capitale umano.



A ben vedere, la crisi che stiamo tuttora vivendo è giunta mentre una parte significativa (anche se non maggioritaria) delle nostre economie era già impegnata in un processo di trasformazione. Il manifatturiero, trainato dalle imprese più strutturate (le medie imprese), si è spostato progressivamente su segmenti di produzione a maggiore valore aggiunto, grazie anche alla sua proiezione sui mercati internazionali.



Un riverbero di ciò lo abbiamo nella composizione delle figure professionali delle imprese. Se prendiamo in considerazione un’area emblematica per l’industria nazionale, come il Veneto, nell’arco di un decennio (1998-2008) i giovani 30-34enni con un profilo professionale di “tecnico” passano dal 21% al 30%, mentre gli “operai” scendono dal 27% al 19%. La presenza delle giovani leve aumenta nelle imprese dei servizi alle imprese (dal 14% al 19%), ma anche nell’industria (dal 14% al 17%). La domanda di laureati passa dal 6,2% del 2006 al 10,9% del 2009. Quella dei tecnici, aumenta dal 35,1% (2006) al 43,7% (2009).



La crisi, quindi, provoca un cambiamento nel cambiamento. Il capitale umano costituisce una delle risorse fondamentali per la competizione del sistema produttivo e questo spiega perché le imprese hanno fatto di tutto per mantenere il proprio capitale professionale.

Sotto questo profilo, l’ampliamento dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali realizzato dal governo è stato essenziale alle imprese. La Fondazione Nord Est stima che, in assenza delle misure realizzate, in Italia nel 2009 i lavoratori che avrebbero perso il posto del lavoro sarebbero stati il 10,1% della forza lavoro, mentre tale perdita si è assestata al 3,5%.

Il 2010 è ancora un anno segnato da profonde difficoltà, nonostante qualche spiraglio di assestamento abbia fatto capolino. Tuttavia, i dati del mercato del lavoro dell’autunno – sebbene registrino un lieve miglioramento – non appaiono confortanti sul versante dell’occupazione:

 

– Le ore di cassa integrazione complessivamente utilizzate in ottobre 2010 (fonte Inps) scendono a 100.806.175 dalle 103.228.193 del mese precedente (-2,4%).

 

– Se cala la CIG ordinaria dell’industria (da 20.096.446 ore di settembre a 18.526.933 di ottobre: -7,8%), tuttavia cresce l’utilizzo di quella in deroga (da 11.218.350 di settembre a 13.002.068 di ottobre: +15,9%) e nell’artigianato (da 10.476.290 a 12.478.388: +19,1%) nel medesimo periodo.

 

– Gli imprenditori, nelle diverse rilevazioni congiunturali, segnalano che la ripresa economica (quando arriverà…) non sarà accompagnata da una pari intensità di quella occupazionale.

 

– La quota di lavoratori dipendenti in Italia, sul totale degli attivi sul mercato del lavoro, è in progressiva crescita: dal 71,4% del 2000, al 77,9% nel 2009.

 

La prospettiva futura appare contrassegnata, quindi, da interrogativi soprattutto per le nuove generazioni perché in questa fase le imprese:

 

– Per fronteggiare le difficoltà dei mercati e recuperare in produttività, tendono a rivedere la propria organizzazione alla ricerca di una maggiore efficienza.

 

– Tendono a espellere i lavoratori meno qualificati e in esubero.

 

– Investono nella formazione dei propri dipendenti, aumentandone il livello di professionalità, ma cercano di limitare i nuovi ingressi.

 

Il rischio, per le giovani generazioni, è di galleggiare per diversi anni sul mercato del lavoro. Con il paradosso, peraltro, che sul mercato mancano ancora le figure professionali tecniche utili alle trasformazioni del sistema produttivo.

A fronte di questo scenario, diventa necessario muovere alcune leve velocemente:

 

1) Occorre cercare un maggiore collegamento fra il sistema dell’istruzione (superiore e universitario) e quello produttivo. Le esperienze di alternanza scuola-lavoro costituiscono una strategia vincente perché, oltre ad avvicinare le giovani generazioni al mondo del lavoro finché studiano, costituiscono anche un efficace sistema di orientamento professionale.

 

2) Bisogna rendere la formazione continua un vero e proprio “sistema”, uscendo dalla situazione attuale dove ci sono esperienze di eccellenza, ma “a macchia di leopardo”.

 

3) Va migliorato l’utilizzo dei fondi interprofessionali, riuscendo a dare una maggiore progettualità, raccordando le esigenze (anche di breve periodo) delle imprese con la formazione dei lavoratori.

 

4) Infine, ma non per importanza, si dovrebbe operare sul versante della riforma degli ammortizzatori sociali, realizzando la seconda gamba della Legge Biagi, garantendo così sistemi di protezione sociale e maggiori opportunità a chi si trova ai margini del mercato del lavoro.