Il mercato del lavoro polacco presenta una situazione diametralmente opposta rispetto a quella italiana. Nonostante si tratti di un Paese proveniente dal blocco del Patto di Varsavia, dunque tendente a una forte burocratizzazione per vocazione ed eredità culturale, a differenza del vorticoso groviglio di contratti collettivi nazionali presenti in Italia, offre due principali contratti: il labour contract (umowa praca) e il civil contract (umowa zlecenie). Il primo è utilizzato abitualmente per tutte le posizioni presenti in qualsiasi tipo di azienda, senza distinzioni connesse al settore di appartenenza, il secondo è fondamentalmente legato alla GDO (specie per gli studenti), ai call center e a poche funzioni che rivestano carattere di saltuarietà nel corso della vita aziendale.



Per quanto concerne il contratto standard, quello di lavoro, esiste solo un minimo garantito, indicizzato ogni anno in base all’incidenza inflattiva (per il 2010, ad esempio, si tratta di 1317 zloty lordi, considerando uno euro scambiato a poco meno di 4 zloty), mentre per il resto la contrattazione è libera e lasciata alla legge della domanda e dell’offerta, senza nessuna suddivisione per “livelli”. Non esistono peraltro, di conseguenza, i concetti di “quadro” e di “dirigenza”. Così come parimenti non esiste il TFR, mentre l’idea della tredicesima e della quattordicesima sono principalmente legate a una contrattazione interna.



La vita contrattuale – non parliamo qui del lavoro temporaneo – generalmente ha il seguente percorso: un primo contratto “di prova” inferiore ai tre mesi (con possibilità di rescissione reciproca con una settimana di preavviso), in seguito fino a un massimo di due contratti a tempo determinato (tendenzialmente non superiori a due anni) con la possibilità di rescissione da ambo le parti con una settimana di preavviso, a meno che non venga condiviso per scritto un preavviso differente. Per i contratti a tempo indeterminato, in base dal periodo di interruzione del contratto, si va da 1 settimana a 3 mesi di preavviso. Chiunque sia assunto a tempo indeterminato può essere licenziato, purché venga specificata la motivazione.



Da questi pochi dati appena riferiti si percepisce come il mercato del lavoro polacco viva in una situazione assolutamente liquida. Specie nel paragone con l’Italia, laddove sotto il Tricolore il posto fisso è visto come il Posto Fisso, in Polonia questa percezione è definitivamente sformata da un diritto del lavoro e da opportunità di collocamento assai differenti. Nel Paese di Tusk, infatti, cambiare lavoro e trovarne uno nuovo non rappresenta un soverchio problema e sovente una minima differenza economica (i salari crescono velocemente) fa abbandonare un impiego per un altro. Non solo, va sottolineato come manchi anzitutto una cultura della fedeltà aziendale e creare un team di lavoro “attaccato alla maglia” e aderente a un progetto è la vera sfida per il manager che svolga le proprie mansioni in Polonia.

Per giunta sono tantissimi i lavoratori che si muovono per andare a lavorare all’estero, principalmente nel Regno Unito, in Scandinavia e in Germania, ma non solo (anche in Repubblica Ceca e in Olanda, per esempio). Questo, unito al costante aumento degli investimenti stranieri che ovviamente creano posti di lavoro, contribuisce ad allargare le possibilità di lavoro, incrementando dunque la corsa al rialzo dei salari e la forte mobilità interna della forza lavoro, due dati che di fatto rendono di difficile lettura e interpretazione le politiche di gestione delle risorse umane, ma che altresì danno un’idea precisa delle potenzialità di questa nazione.

 

Una nazione che, grazie all’alta natalità, alle sue risorse naturali, alle sue dimensioni, a un’intelligente politica monetaria e di attrazione degli investimenti e al suo essere crocevia di un’economia che spostandosi verso Est la vede al centro del continente (pur avendo disastrose connessioni stradali, un problema davvero grave), è oramai prima attrice sulla scena europea. Una tesi confermata dai dati che l’hanno vista patire l’ondata di recessione meno di qualsiasi altro Paese sotto l’egida della bandiera blu a stelle.

 

In sostanza, se da un lato l’agilità nella gestione dei contratti, la presenza di maestranze preparate e l’ancora positiva differenza retributiva – unita al furbesco rimandare l’ingresso nell’euro, un momento che sarà doloroso – rendono la Polonia un mercato appetibile per gli investimenti, d’altro canto il celere progredire dei salari, la mentalità poco incline alla fidelizzazione aziendale e la tendenza a espatriare potrebbero rappresentare un ostacolo, in questa fase, non semplice da sopravanzare.

Leggi anche

IL CASO/ Quel “morso” che mette in crisi il sogno americanoIL CASO/ Dalla Spagna due buoni consigli alla ForneroLETTERA/ Il lavoro in Cina, tra giovani “in fuga” e crescita economica