E se Renato Brunetta e Pietro Ichino si limitassero ad osservare l’albero e non la foresta e avessero ambedue un po’ ragione ed un po’ torto? Brunetta si è assunto il compito – ingrato in un Paese come l’Italia il cui establishment è sempre ostile ai cambiamenti – di avanzare una proposta per consentire ai giovani un minimo di autonomia. Così si è mosso lungo il percorso rischioso di un aiuto economico minimo (si è parlato di 500 euro mensili) finanziato da una ritenuta sui trattamenti di anzianità.



Essendo le pensioni un terreno minato, a cui montano la guardia, tra gli altri, alcuni suoi autorevoli colleghi di governo, Brunetta si è preso una smentita da Palazzo Chigi. Ma il ministro – coraggioso come sempre – non si è lasciato impressionare. E ha intessuto un dialogo con il senatore Ichino (come se volesse parlare a nuora perché suocera intenda). Il professore milanese, prestato alla politica, è ripartito, nella lettera al Corriere della Sera, dalla sua tesi consueta: la differenza tra insiders e outsiders dipende anche dalla disciplina del licenziamento individuale (di cui all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori). Fino a quando non si troverà una soluzione uniforme a questo problema il mercato del lavoro continuerà a essere spaccato in due come una mela.



Anche questo è un ragionamento assai poco popolare, anche per il governo che pure ha compiuto dei passi interessanti verso il superamento del tabù dell’articolo 18. Sia pure in modo largamente indiretto. Se e quando il “collegato lavoro”, attualmente in quarta lettura al Senato, diventerà legge, alcune sue norme introdurranno criteri di maggiore flessibilità anche in tema di licenziamento. Nel valutare le fattispecie di giustificato motivo e di giusta causa, il giudice dovrà tener conto delle casistiche indicate nella contrattazione collettiva; inoltre, le parti potranno deferire l’eventuale controversia a procedure di conciliazione e di arbitrato, che vengono molto rafforzate nel provvedimento.



Nel giro di qualche tempo saremo in grado di monitorare gli effetti di queste nuove norme. Ma, prima o poi, tornerà all’ordine del giorno la questione dell’articolo 18, perché è insostenibile la disciplina attuale, da tanti punti di vista. Ichino però è costretto a mediare con il mondo a cui appartiene. Così, il superamento della disciplina a efficacia reale, a suo avviso, dovrebbe valere solo per i nuovi occupati, mentre sul piano generale Ichino ha proposto un sistema di flexecurity a cui le parti potranno aderire liberamente assumendosi l’obbligo di ricollocare i lavoratori licenziati.

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Dal canto suo, Renato Brunetta non ha chiarito i criteri e i requisiti richiesti per ottenere l’assegno da lui proposto. L’Italia non è un Paese normale; non ha un adeguato livello di senso civico che possa consentire di combattere quegli abusi che sempre emergono – con esempi di ricca fantasia – ogni qual volta vengano predisposte e messe in atto misure di carattere assistenziale.

 

È per questi motivi che in Italia non sono mai state adottate misure a sostegno dell’inoccupazione ma solo della disoccupazione, a fronte, peraltro, di precisi requisiti assicurativi e contributivi. In ogni caso ambedue le proposte pongono problemi da approfondire, inerpicandosi sui sentieri scoscesi di un nuovo welfare più giusto ed equilibrato.