Oggi si vota nello stabilimento Fiat di Pomigliano d’Arco. Sulla carta, considerando le forze schierate per il sì, la vittoria dei sostenitori dell’accordo dovrebbe essere netta. Oltre ai sindacati di categoria firmatari dell’intesa, si sono pronunciati per un voto positivo la Cgil, i partiti e le istituzioni locali.



Solo la Fiom e il cosiddetto sindacalismo di base (Cobas, ecc.) invitano i lavoratori a esprimere un voto contrario o a non recarsi a votare. Anche un risultato striminzito a favore dell’accordo farebbe, infatti, il loro gioco, dal momento che la Fiat ha chiesto un’affermazione inequivocabile per poter dare esecuzione al piano, in un clima di fiducia e di collaborazione.



Le cronache hanno pudicamente girato al largo dell’argomento, ma nella vicenda di Pomigliano c’è anche un altro protagonista ingombrante, la camorra, il cui orientamento – a noi sconosciuto – influenzerà sia la partecipazione al voto sia il suo esito.

Comunque finirà, questa vertenza ha consegnato a noi tutti molti spunti di riflessione. Il Governo ha scelto – e ha fatto bene a seguire questa linea di condotta – di non intromettersi, anche se – non poteva essere altrimenti – ha sostenuto l’operazione. La sinistra politica e sindacale – al solito – ha fatto, da sé, tutto e il suo contrario. E ha deluso, anche se, in larga maggioranza, ha finito per esprimersi a favore dell’accordo.



È sufficiente soffermarsi un attimo sulle parole di Pierluigi Bersani, la persona che, se domani si andasse alle urne e la sinistra vincesse le elezioni, sarebbe il probabile premier. Il leader del Pd ha testualmente dichiarato con riguardo al caso di Pomigliano: «Adesso bisogna fare in modo che questa vicenda eccezionale non prenda carattere di esemplarietà». Bel colpo! Forse Bersani conosce tante aziende che – alla luce fioca dei chiari di luna della crisi – sono pronte a investire nel giro di qualche anno 700 milioni in uno stabilimento del Sud, che fin dall’inizio ha “litigato” con l’efficienza e la produttività?

In verità, anche la sinistra in doppiopetto ha condiviso l’analisi truffaldina di quella in tuta blu. Per loro, l’intesa viola dei diritti fondamentali dei lavoratori, ma va accettata in nome della logica del “male minore” e dell’emergenza occupazionale, magari riservandosi iniziative di contrasto nell’arco temporale in cui l’accordo andrà a regime.

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Il fatto è che le cose stanno diversamente. Va ricordato, innanzitutto, che in quello stabilimento – per universale riconoscimento – sono diffusi comportamenti anomali per quanto riguarda l’assenteismo e la conflittualità. La Fiat ha intenzione di porvi rimedio non tanto perché vuole fare della fabbrica una “caserma”, ma perché non avrebbe senso impegnarsi in una prospettiva onerosa e di grande respiro strategico in un’azienda destinata a rimanere improduttiva, ancora inviluppata nei vizi acquisiti ai tempi delle partecipazioni statali.

 

Così, nell’accordo sono previste delle commissioni paritetiche tra le parti stipulanti, a livello centrale e aziendale, incaricate di “governare” l’applicazione dell’accordo e di contrastare, con adeguate soluzioni, i comportamenti che quelle finalità potrebbero mettere in crisi. Sono indicate, ad esempio, soluzioni pratiche per affrontare l’assenteismo (sic!) di natura elettorale. La Fiat non intende impedire ai lavoratori di recarsi ai seggi, come prevede la legge, ma dichiara di voler riconoscere i permessi retribuiti soltanto ai componenti effettivi delle sezioni elettorali e, comunque, vuole poter recuperare la produzione perduta se tanti dipendenti, nei giorni delle elezioni, si assentassero.

 

Nell’accordo – questo è il suo spirito – le parti stipulanti assumono degli impegni importanti (si pensi soltanto alla nuova turnazione e all’esigibilità del lavoro straordinario). Se si dovessero verificare «comportamenti idonei a rendere inesigibili le condizioni concordate per la realizzazione del piano e i conseguenti diritti o l’esercizio dei poteri riconosciuti all’azienda», l’accordo stesso riconosce che tali comportamenti, individuali e/o collettivi, farebbero «venir meno l’interesse aziendale alla permanenza dello scambio contrattuale».

 

Così, per l’assenteismo anomalo (non derivante da cause epidemiologiche) le commissioni paritetiche dovrebbero esaminare l’adozione di provvedimenti sanzionatori tra cui il mancato pagamento a carico dell’azienda dei tre giorni di carenza (si tratta di un obbligo di natura contrattuale e non di legge).

 

Più delicato è il problema dello sciopero e della conflittualità, al cui proposito sono state scritte migliaia di parole discutibili: i comportamenti ritenuti anomali saranno sanzionati con provvedimenti a carico dei sindacati (la mancata riscossione dei contributi associativi e il venire meno di alcune condizioni migliorative relativamente ai permessi sindacali).

 

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Ha fatto molto discutere il punto 18 dell’accordo il quale stabilisce che le sue clausole integrino i contratti individuali per cui potranno essere sanzionate (fino al licenziamento) anche le violazioni a opera del singolo lavoratore (ma non è stato sempre così?). Stanno qui, essenzialmente, le accuse di violazione della Costituzione, perché si dice che in questo modo sarebbe conculcato il diritto individuale all’astensione dal lavoro.

 

È il caso, però, di risalire agli antefatti e di chiedersi i motivi di tale norma. A Pomigliano d’Arco è invalsa – da parte della Fiom e dei Cobas, soprattutto – la prassi di “coprire” con la proclamazione dello sciopero (si sono avute anche 40 fermate in un mese) quei reparti e quei lavoratori che non intendono svolgere il turno o il lavoro straordinario, previsto dai contratti, ai quali sono stati comandati.

 

Si determina così una situazione in cui la direzione aziendale non dispone di alcuna certezza sull’effettiva possibilità di mantenere i propri programmi produttivi. Sarà pur giusto, allora, voltare pagina e trovare delle adeguate soluzioni?

 

I diritti costituzionali non possono essere invocati per giustificare, nei fatti, un loro abuso. Se il sindacato prende degli impegni, anche i lavoratori devono sentirsi vincolati. Altrimenti meglio restare in Polonia.

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