Apre oggi i battenti il Meeting di Rimini e tra gli interventi della giornata ci sarà quello di Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl. Ilsussidiario.net lo ha intervistato affrontando i temi più importanti per il sindacato e i lavoratori in questa particolare fase di congiuntura economica, in cui non appare chiaro quando la crisi potrà dirsi alle spalle.
Al Meeting lei partecipa a un incontro dal titolo “Ripresa a quali condizioni?”. A questo proposito, mentre si registrano segnali di crescita economica, non diminuisce la disoccupazione e aumenta l’indebitamento delle famiglie per consumi. Cosa vuol dire tutto questo?
Purtroppo è una situazione abbastanza normale dato che la crisi dura da oltre due anni. Per riportare le cose a posto ci vorrà davvero tanto tempo. Dal punto di vista economico credo sentiremo ancora la mancanza di una parte della domanda interna, nel frattempo resta il problema dell’occupazione, nonostante si sia intervenuti con la cassa integrazione: uno strumento che sta ancora dimostrando di funzionare e che il Governo ci ha promesso di continuare ad alimentare con i fondi necessari fino alla completa uscita dalla crisi.
Il problema più drammatico, in Italia come in altri paesi europei, sembra essere il forte tasso di disoccupazione giovanile. Come si può risolvere questa situazione?
Il problema del rinnovo dell’occupazione e dei giovani in cerca del primo posto di lavoro è senz’altro forte. Il primo passo da compiere non può che essere quello di fare il possibile per rivitalizzare l’economia. Bisogna riuscire poi a stimolare l’occupazione dove questa non arriva. Abbiamo già chiesto che venga usato a questo scopo lo strumento del credito d’imposta (che in altre epoche si è rivelato funzionale) nei confronti di giovani e donne, che sono le figure più deboli del mercato del lavoro.
E che risposta avete avuto?
Il Governo ci ha detto che mancano i fondi e che c’è il rischio che questo strumento diventi una sorta di “pozzo di san Patrizio”. Il Governo potrà anche avere le sue ragioni, ma è davvero increscioso notare che mentre si fa giustamente di tutto per non far perdere il lavoro a chi ce l’ha già si fa finta di non vedere che esiste una generazione che sta allungando i tempi di attesa per la sua prima esperienza lavorativa. Questo è un problema molto importante e non si può fingere che non esista.
L’Italia dovrà fare i conti però con uno scenario politico abbastanza turbolento. Si parla di crisi di governo, esecutivo tecnico ed elezioni anticipate. Cosa ne pensa?
Quella del governo tecnico mi pare più una discussione estiva che un’opzione realmente percorribile. Penso anche che sarebbe una follia se si dovesse arrivare alle elezioni anticipate. Il nostro paese, che ancora non è uscito dalla crisi, non se lo può permettere proprio nel momento in cui gli altri stati si stanno dando da fare per trovare soluzioni utili al rilancio economico. La scelta del voto sarebbe la certificazione definitiva che la classe dirigente è divenuta un’oligarchia lontana dalla gente, dai problemi e dalle proprie responsabilità, attenta solo a mantenere il proprio potere. E se devo essere sincero, la classe dirigente non mi è apparsa molto cambiata dalla crisi: è sempre uguale a se stessa, persino in momenti così delicati per il paese.
Al Meeting parteciperà anche l’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne. Ci sono evoluzioni nella vicenda di Pomigliano d’Arco?
Ci siamo lasciati prima delle vacanze con l’impegno a portare avanti il disegno di Pomigliano e di Fabbrica Italia, un piano che non ha precedenti per Fiat. È la prima volta che pianifica di investire così tanto denaro in così pochi anni, oltretutto senza fondi pubblici. Si tratta del più grande investimento deciso durante la crisi che, oltre a lasciare il segno nell’economia, avrà anche un grande valore simbolico: potrà fungere anche da traino rispetto ad altri imprenditori sia italiani che stranieri. Essi avranno la riprova che in Italia si può investire e che ci sono realtà che favoriscono gli investimenti, come la Cisl e la Uil, che al posto di abbandonarsi a polemiche e discussioni fanno il loro dovere.
Quale in questo caso?
Quello di cogliere l’importanza delle opportunità che sono offerte per tenere in vita aziende che altrimenti sarebbero spazzate via. Basta ricordare che Fiat fino a pochi anni fa era data da tutti per spacciata. Non dalla Cisl, però. Posso dire con orgoglio che abbiamo cooperato affinché l’azienda potesse rinascere. Ricordo che la Fiat tra dipendenti diretti e indiretti interessa circa 600-700 mila persone e ha opifici quasi esclusivamente nel Centro-Sud e ne costituisce l’ossatura industriale. Siamo quindi contenti che prima delle vacanze Fiat abbia ribadito la volontà di investire, date le garanzie che le abbiamo fornito. Con buona pace di coloro che hanno fatto discorsi anacronistici, ancor più fuori luogo in un contesto economico come quello attuale.
Si riferisce alla Fiom?
Sì, ma non solo. In verità ho notato che ci sono state simpatie mal celate o comunque spinte un po’ ciniche che hanno le hanno dato la possibilità di sostenere con forza argomenti che dovrebbero essere davvero lontani dagli interessi nazionali. Ho notato una buona parte dei media, e anche dell’economia, che non ha fatto ciò che si doveva fare in una situazione così importante.
Riguardo a Pomigliano, la nascita di una newco con un relativo contratto diverso dall’attuale hanno creato ulteriori discussioni. Su questo cos’ha da dire?
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Partendo dal presupposto che gli stabilimenti di Fiat sparsi per l’Italia non hanno sempre la stessa ragione sociale, per noi l’importante è che la newco sia diretta autorevolmente. Il fatto che a guidarla sarà lo stesso Marchionne non può che essere una garanzia. Circa il contratto, voglio sottolineare che il problema è stato risolto. Abbiamo spiegato che non eravamo d’accordo a creare un nuovo contratto: casomai quello dei metalmeccanici avrebbe potuto integrare delle norme specifiche per il settore auto. Le garanzie che Fiat vuole dai sindacati si possono definire senz’altro all’interno del contratto nazionale. Nonostante la Fiat stesse muovendosi verso altre soluzioni, alla fine ha deciso di fermarsi.
Quindi sono infondate le voci che vogliono Federmeccanica al lavoro per studiare un contratto separato per l’auto?
È un’ipotesi tramontata, perché ha visto la nostra opposizione. E naturalmente Marchionne non ha potuto non tenerne conto, non essendo noi strumentali nelle nostre posizioni, spinti come siamo da spirito cooperativo.
Non vi ha infastidito la decisione di Fiat di produrre le nuove monovolume del gruppo in Serbia a discapito di Mirafiori?
Fiat è una società internazionalizzata e quando decide la progettazione di modelli è chiaro che deve distribuirli nei diversi opifici che ha sparsi per il mondo. Questa in particolare non è nemmeno una produzione tanto pregiata. Quello di Torino resta un impianto che per cervello e per mezzi può essere destinato a produrre modelli molto remunerativi e di alta qualità. Nell’incontro che abbiamo avuto al Lingotto prima delle vacanze, Fiat ha in effetti riconfermato la volontà di costruire lì modelli medio-alti destinati anche agli Usa, oltre che al mercato nordamericano e nordeuropeo.
Per risolvere la situazione di Pomigliano qualcuno aveva anche suggerito di rispolverare la proposta di legge del senatore Pietro Ichino sulla democrazia sindacale, in modo che il parere della maggioranza vincolasse tutti i lavoratori. Cosa ne pensa?
A Pomigliano la Fiom è minoritaria e al referendum abbiamo vinto noi. Eppure quella realtà palesemente minoritaria, sia per iscritti che per voti, non ha riconosciuto né il voto, né la predominanza degli iscritti delle realtà maggioritarie. I propositi di Ichino vanno quindi benissimo per realtà che sanno stare nell’agone democratico, che sanno riconoscere che c’è un momento per discutere e un momento per concludere. E il criterio principale per concludere è quello democratico. Purtroppo esistono certe culture nel sociale, ma anche in politica, che non riconoscono mai il verdetto democratico e si oppongono e creano ostacoli comunque e costantemente. In una realtà del genere, la proposta di Ichino, pur essendo buona nei principi, non mi sembra possa trovare applicazione.
In ogni caso a settembre dovrebbe riprendere il dibattito parlamentare sulle forme di partecipazione dei lavoratori nelle imprese. Voi le avete sempre viste favorevolmente. Perché?
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Per noi la democrazia economica è un valore costitutivo, dato che i padri fondatori della Cisl vollero inserire nello statuto l’obiettivo di favorire in tutti i modi la partecipazione dei lavoratori alla vita economica e aziendale, attraverso forme di sussidiarietà. Crediamo che la realizzazione delle persone si possa compiere non solo attraverso una remunerazione adeguata alla propria prestazione, ma anche con la partecipazione alle visioni e alle decisioni che riguardano il loro ambito lavorativo.
Cosa occorre perché queste forme di partecipazione possano dispiegare i loro effetti positivi?
La presenza di una legge ci potrà aiutare soprattutto nelle grandi aziende. Tuttavia la realtà produttiva italiana è fatta per la stragrande maggioranza da Pmi. In questi casi la partecipazione non può che prendere sbocchi attraverso la bilateralità o nelle forme sussidiarie che danno significato alla partecipazione. Oltre a una buona legge, occorre dare quindi il massimo sostegno a bilateralità e sussidiarietà. In questo senso è già stato importante raggiungere lo scorso anno intese virtuose con Confindustria e le associazioni di artigiani e commercianti. È stata la prima volta infatti che le associazioni imprenditoriali hanno riconosciuto, pur tra tanti distinguo, la validità per il presente e per il futuro di forme partecipative e hanno sentito quindi l’esigenza di impegnarsi per svilupparle. I risultati cui possono portare sono visibili nella performance registrata recentemente dall’economia tedesca.
In che senso?
L’economia tedesca ha potuto in questi momenti di crisi ristrutturarsi. I lavoratori sono stati pienamente coinvolti nei processi di valutazione e di decisione e si è arrivati senza proteste ad accordi anti-delocalizzazione che hanno comportato persino riduzioni salariali e cambiamenti degli orari.
Accordi del genere non ci sono stati anche in Italia?
Sì, anche se, diciamocelo con franchezza, è stato un processo spinto dai vertici che poi le basi hanno seguito. Da noi non ci sono state situazioni infuocate grazie alla lungimiranza che abbiamo avuto in questo momento di crisi nel fare accordi con gli imprenditori. Lo abbiamo fatto però attraverso un processo verticistico. In Germania invece la cosa è più profonda, perché c’è una partecipazione che dura da decenni e che vede i lavoratori tedeschi ben consapevoli delle opportunità che ci sono quando c’è crescita e delle difficoltà che si hanno quando si devono sopportare situazioni come quelle che i cittadini di tutta l’Europa stanno patendo in questa lunga crisi.
Ichino, in una recente intervista, ha detto che occorre superare l’idea che un contratto non possa disporre del diritto di sciopero. Che ne pensa?
È quello che abbiamo fatto a Pomigliano, ma anche nell’ultimo decennio in molte aziende, soprattutto tessili. Pur di non fare delocalizzare la produzione, pur di metterle in condizione di usare pienamente gli impianti per reggere meglio la competizione con concorrenti agguerritissimi, nuovi e vecchi, abbiamo consapevolmente chiuso accordi di questo tipo. D’altronde i diritti ci sono se ci sono le fabbriche. Senza di esse non ci sarebbero nemmeno i primi.
Al Meeting ci sarà anche Emma Marcegaglia. Insieme a Confindustria stanno portando avanti una battaglia per la riforma del fisco. A che punto siete?
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Da tempo la Cisl ha lanciato l’iniziativa sul fisco. Non più per restituzioni o altre piccole “cosmesi”, ma rivendicando una riforma radicale del sistema fiscale. Insieme a Uil, Confindustria, Confartagianato e Confcommercio abbiamo fatto e continuiamo a fare proposte. Non è un caso che nella manovra varata da Tremonti, sia stata inserita la tracciabilità dei pagamenti e delle fatture, una richiesta soprattutto nostra e un segno di equilibrio che il governo doveva dare: mentre chiedeva sacrifici, si impegnava nel contrasto alla scandalosa evasione fiscale. C’è da lodare Tremonti per questa serietà mostrata. Dato che il ministro dell’Economia sarà ospite al Meeting, spero che ne approfitti per rassicurarci sulle altre richieste che abbiamo fatto.
Che cosa avete chiesto a Tremonti?
Abbiamo evidenziato la necessità di aiutare le famiglie, specie quelle con persone non autosufficienti a carico; di ridurre le tasse su lavoratori e pensionati, ma anche sulle imprese; di spostare il carico impositivo sui consumi; di combattere gli sprechi e le ruberie; di rivedere tutto l’assetto istituzionale e amministrativo, che è insostenibile nonostante si continui a parlare di federalismo. Spero che queste proposte che facciamo da diverso tempo trovino la sostanza che gli serve e mi appello quindi a Tremonti, perché apra fino in fondo una discussione sul tema. In un paese che vuole litigare su tutto, se lo si facesse su una questione così seria sarebbe persino salutare.
È ormai da diversi anni che lei partecipa al Meeting di Rimini. Cosa trova di particolare in questo evento? C’è qualcosa che la colpisce e che la spinge a tornare ogni volta?
Naturalmente per me è un evento importantissimo, non solo come segretario della Cisl, ma come persona che riconosce l’importanza di una realtà del mondo cattolico che si sente molto vicina a questo modo di vedere la realtà. Sono davvero tantissimi anni che vengo a Rimini e mi stupisce ogni volta questa realtà che si rinnova costantemente, ma resta sempre se stessa. Della platea di Rimini mi ha sempre impressionato la capacità di ascoltare e di accogliere chiunque, a prescindere dalle tesi che verrà a esporre e dalla sua provenienza.
(Lorenzo Torrisi)