Il referendum è uno strumento rozzo e al tempo stesso delicato, perché mette tutti di fronte a scelte drastiche, senza mezze misure. È una soluzione estrema cui ricorrere quando gli strumenti della democrazia rappresentativa non funzionano più.

Questo è il caso di Mirafiori, come è stato per altre scelte difficili, su argomenti sia contrattuali sia di riforma (si pensi al referendum sulle riforme pensionistiche). Ma proprio perché il referendum è una extrema ratio democratica, va gestito con la massima trasparenza e con piena informazione di tutti. Purtroppo il clima di tensione di questi giorni, alimentato da più parti, Fiom in primis, non ha offerto queste condizioni favorevoli. Ma in ogni caso i risultati del referendum vanno rispettati da tutti. È positivo che un appello in questo senso venga da varie parti, da Susanna Camusso al segretario del Pd Bersani.



L’accordo di Mirafiori richiede sacrifici ai lavoratori e quindi è comprensibile che sollevi resistenze. Ma condizioni di lavoro simili (turni, pause) sono già presenti in altri accordi di crisi. E poi la posta in gioco è il futuro non solo dell’azienda, ma di un settore importante come l’auto. Le conseguenze di una vittoria del no, con conseguente perdita degli investimenti promessi dalla Fiat, sarebbero drammatiche per Torino e provocherebbero il declino inevitabile dell’auto italiana.



È giusto pretendere garanzie sul futuro, a cominciare da una chiarezza maggiore di quanto non abbia fornito il piano industriale di Marchionne. Ma sottrarsi al confronto come fa la Fiom, e non è la prima volta, è irresponsabile. Non si giustifica neppure il rifiuto del referendum con il motivo che esso violerebbe diritti costituzionali. Non è così; a meno di non definire lesioni di diritti ogni modifica dello status quo.

L’indennità integrativa di malattia è un istituto contrattuale non legale, che è modificabile dagli stessi contraenti. Oltretutto la clausola di Mirafiori è più equilibrata di quella di Pomigliano, perché la riduzione dell’indennità è prevista non per tutti i lavoratori, ma solo per quelli che presentano un assenteismo anomalo. Per altro verso, il diritto di sciopero non è violato, se chi firma un accordo si impegna coerentemente a evitare comportamenti che lo contraddicono e lo rendono inutile.



Il referendum va dunque rispettato e tutti si devono augurare che prevalga il senso di responsabilità. Da domani ognuna delle parti dovrebbe impegnarsi per ristabilire la normalità, che si è rotta, nei rapporti sindacali. In questo senso è apprezzabile l’invito della Camusso affinché anche la Fiom accetti il risultato del referendum per non restare sull’aventino e per tutelare i lavoratori nella gestione dell’accordo. Una Fiom fuori dalle fabbriche non aiuta i lavoratori; e non può affidare la loro tutela futura ai ricorsi giudiziari, dal decorso lungo e dall’esito incerto.

 

Il dopo referendum richiederà ai sindacati, e alle forze politiche responsabili, iniziative innovative su tre temi prioritari. Il primo riguarda la definizione di regole sulla rappresentanza e sulla contrattazione. Tali regole dovrebbero riconoscere i diritti di tutti i sindacati rappresentativi, ma misurandone rigorosamente il peso per far valere il principio di maggioranza nelle decisioni contrattuali.

 

Una buona base di riferimento per le regole sulla rappresentanza è la bozza unitaria definita fra Cgil, Cisl e Uil nel 2008 cui si ispirano anche proposte parlamentari del Pd. È così in altri sistemi di relazioni industriali, dove i diritti di partecipare alle elezioni dei rappresentanti aziendali sono riconosciuti anche a liste aperte, non strettamente sindacali, di lavoratori; e i sindacati contraenti possono concordare diritti ulteriori.

 

Il secondo argomento riguarda il rapporto fra l’accordo di Mirafiori e il contratto collettivo nazionale. Mantenere un quadro di regole comuni è importante per l’equilibrio del nostro sistema che ha avuto nel contratto nazionale un elemento centrale di garanzia dei trattamenti di base di tutti i lavoratori. Questo interessa anche alla Confindustria. Si tratta però di rendere tale contratto più aperto per lasciare spazio alle innovazioni necessarie a livello aziendale. Rifiutare le opportunità delle innovazioni aziendali può provocare reazioni pericolose per la stabilità e per l’efficacia delle relazioni industriali o addirittura favorire uscite delle aziende dal sistema. Su questo rischio dovrebbe riflettere anche la Cgil.

Una terza area di innovazione riguarda la partecipazione dei lavoratori alle vicende aziendali, in generale e in particolare nei casi di crisi. La qualità di un accordo come quello di Mirafiori e la sua incidenza sulle condizioni di lavoro e di vita dei lavoratori si misureranno su come è gestita l’intesa, con quale coinvolgimento degli interessati e considerazione dei loro concreti interessi.

 

L’insufficiente coinvolgimento è un punto critico, forse il maggiore, delle vicende Fiat e non solo in questo accordo. Altre aziende italiane hanno ottenuto buoni risultati di efficienza senza i traumi della Fiat proprio perché hanno puntato di più sulla partecipazione e sul coinvolgimento di tutti, dipendenti e sindacati. Così l’esperienza di altri paesi, a cominciare dalla Germania, insegna che gli accordi in deroga, stipulati da tempo e spesso gravosi, sono meglio sostenibili in quanto sono partecipati; essi hanno contribuito positivamente alla ripresa produttiva di quel paese. Tanto è vero che oggi in Germania cresce sia l’economia sia l’occupazione; e i sindacati possono pretendere di essere compensati dei sacrifici passati con miglioramenti retributivi e occupazionali.

 

Il dopo referendum deve dunque sollecitare uno sforzo comune di innovazione anzitutto su questi tre punti: regole di rappresentanza, mantenimento e revisione del contratto nazionale, strumenti di partecipazione (su questi esistono già proposte di legge in Parlamento presentate anche da chi scrive). Alle imprese, non solo alla Fiat, si deve chiedere una maggiore capacità innovativa necessaria per la competitività dei prodotti e per la qualità del lavoro.

 

Il governo non può stare alla finestra, come ha fatto finora, lasciando deteriorare i rapporti sindacali e sociali. Deve intervenire con mediazioni equilibrate e offrendo al paese le necessarie scelte di politica industriale, come hanno fatto tutti governi vicini. Ha una responsabilità per la competitività delle imprese e per l’occupazione che deve esercitare con urgenza, a partire dal dopo referendum

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