Siamo nel pieno dell’orientamento alla scelta delle scuole superiori da parte dei ragazzi delle medie. Tempo delicato, che va preso sul serio. Perché una cosa deve essere chiara: a 14 anni si sceglie per la vita. Pochi ci pensano, ma è così, a parte rare eccezioni. E la scelta a 14 anni incide anche sulla futura scelta nel mondo del lavoro, con un diploma o una laurea.



Il problema è che a 14 anni non credo che le famiglie e i ragazzi siano in grado di sapere bene le opportunità che hanno di fronte. Tant’è che, come ha confermato un’indagine di Alma Laurea, il consorzio universitario che fa capo all’ateneo bolognese, il 47% dei laureati, se potesse tornare indietro, non rifarebbe la stessa scelta e cambierebbe indirizzo di studio. Un dato che fa venire i brividi, se preso sul serio. Quanti destini personali bruciati negli anni, e quante reali opportunità di lavoro sacrificate per miopia o poca trasparenza? Di fronte a certe scelte, giuste o sbagliate, non si torna indietro, fatte salve rare eccezioni.



Nei giovani, potrei dire, si fa sempre più strada la sensazione di essere come dei viaggiatori che vanno di corsa verso la stazione, ma si accorgono che di lì passano treni diversi da quelli attesi. Il problema è che in molti casi se ne accorgono troppo tardi. Allora abbiamo delle offerte di lavoro che vanno a vuoto, mentre altre con file lunghissime di pretendenti. Ecco come nasce il precariato.

L’orientamento, sia per la scelta delle superiori come dell’università (ma anche per la scelta di un lavoro o il post-diploma), si avverte essere sempre più il “rito di passaggio” più delicato nella vita dei nostri ragazzi. Il problema, però, è che per aiutarli a scegliere dovremmo da un lato cogliere in loro con chiarezza attitudini e qualità, e dall’altro dire loro le reali opportunità di studio e di profilo occupazionale nel mondo del lavoro.



Come aiutare i ragazzi e le famiglie? Dicendo loro alcune cose. Anzitutto, che i risultati scolastici delle scuole medie non possono indicare con evidenza i talenti, le capacità, l’intelligenza. Perché le scuole medie, per prima cosa, pensate e costruite (a parte belle eccezioni) come dei “bignamini” delle scuole superiori, non sempre riescono a mettere a frutto il percorso induttivo di scoperta delle complessità e quindi gli approcci alle formalizzazioni. In seconda battuta, perché le intelligenze sono diverse, e non è detto che le didattiche adottate riescano a cogliere l’“inter-esse” di tutti gli studenti, a mettere a frutto cioè i talenti comunque presenti. Pari dignità, perciò, tra le diverse forme di intelligenza, tra tutti i ragazzi in quanto persone, e tra tutti gli indirizzi di studio, come tra tutte le occupazioni.

Come scegliere, e cosa scegliere, dunque? Un consiglio che mi sento di dare è questo: fare in modo che tutti gli studenti tocchino con mano, negli stages o nei momenti di “scuola aperta”, la realtà di tutte le scuole, senza badare ai pareri dei propri docenti, genitori, amici/che. Di tutte le scuole, non di alcune. Toccare con mano, dunque. E una volta toccato con mano, rivedere e discutere, assieme ai genitori e ai docenti, le proprie impressioni. L’importante è non seguire la moda, il vento delle opinioni altrui, idee più o meno ballerine.

 

Se noi, in sintesi, vogliamo davvero aiutare i nostri ragazzi a trovare la “loro” strada nella vita, dobbiamo creare un canale diretto tra le scuole medie e tutte le scuole superiori. Nel frattempo, però, la stessa didattica delle scuole medie va modificata, per renderla più rispondente all’età evolutiva degli stessi ragazzi, cioè meno teorica, meno astratta, per renderla, invece, induttivo-sperimentale. Basta dare un’occhiata ad alcuni testi in adozione alle medie per capire al volo che le cose non possono continuare così.

 

Pari dignità vuol dire che tutti gli indirizzi delle scuole superiori sono buoni. E sarà compito di tutte queste scuole fare bene il proprio lavoro. Ma ciò che conta è il futuro dei nostri ragazzi. Senza dimenticare, infine, che qualsiasi scelta andrà poi calibrata, a medio e lungo termine, con quel profilo di “occupabilità” di ogni titolo di studio che è la vera cifra europea del mondo scolastico. Perché non è pensabile che la scelta di un indirizzo di studio venga fatta al buio rispetto al possibile sbocco occupazionale, anche se si sa bene che una parte delle attuali professioni, tra 10 o 20 anni, sarà totalmente diversa, alcune addirittura nuove.

 

Ma questo non deve creare timori eccessivi. Perché la formazione, in qualsiasi indirizzo di studio, implica comunque lo sviluppo delle attitudini, e la prima di queste, cioè “imparare a imparare”, è la migliore spinta alla continua innovazione. Il problema però è a monte: chi sbaglia la scelta a 14 anni, difficilmente tornerà sui suoi passi. Volente o nolente. E un 47% (due anni fa il dato era del 50%) che dichiara che, se potesse tornare indietro, cambierebbe la scelta a 14 anni, ci dice tutta la responsabilità nei confronti dei nostri ragazzi, al di là dei lustrini delle stesse “scuole aperte” organizzate dalle superiori o dai giudizi di orientamento dei docenti delle scuole medie.