Roberto Pessi, ordinario di diritto del lavoro alla Luiss di Roma, interviene in difesa della legge sul Collegato Lavoro, approvata dal governo nel dicembre scorso. Lo fa su Cuore & Critica – il sito diretto da Luca Antonini, Stefania Craxi, Giuseppe De Rita, Eugenia Rocella e Maurizio Sacconi, il ministro che ha lavorato alla legge 183/2010.
La legge è stata al centro di qualche polemica perché pone un limite temporale ai ricorsi dei lavoratori (in particolare precari) nei confronti dei loro datori di lavoro. Spiega Pessi: «Importante, anzitutto, è il tentativo di introdurre termini più stringenti per la contestazione di illegittimità nell’esercizio dei poteri imprenditoriali, con riferimento in particolare al recesso dal rapporto, all’apposizione del termine ed alla stessa qualificazione. La finalità (condivisibile) è quella di contenere le ipotesi di contenzioso “dormiente”, da sempre motivo di tensione sull’organizzazione del lavoro, sia in termini di costi, che di assetti dimensionali».
Pessi risponde direttamente alle critiche, incluse quelle di chi ha parlato di costituzionalità dubbia delle legge: «I timori di un arretramento/aggiramento dello statuto protettivo non sembrano condivisibili». La protezione dei lavoratori, spiega il giurista, è tanto più «efficace» quanto è «effettiva», e cioè «rapida nella sua attuazione».
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In particolare Pessi si sofferma sulla riforma dei procedimenti di conciliazione e arbitrato. «Quanto alla prima non può che condividersi la compressione-soppressione dell’obbligatorietà della conciliazione preventiva all’instaurazione dell’azione giudiziaria. (…) Sembra inoltre particolarmente incisiva (per deflazionare il contenzioso) la previsione che il giudice, nell’ambito del suo tentativo di conciliazione, che qui resta obbligatorio, debba definire una proposta transattiva, il cui rifiuto, in assenza di adeguata motivazione, costituisce un comportamento dallo stesso valutabile ai fini del giudizio».
Il ricorso a queste procedure può essere dunque uno strumento importante nella tutela dei lavoratori: «Personalmente ho la convinzione che l’effettività della tutela è anche, e soprattutto, la rapidità della sua concretizzazione. Percorsi alternativi alla giurisdizione possono essere in questa direzione assai più efficaci della giurisdizione stessa». Tutto ciò a patto che la «classe arbitrale» si dimostri all’altezza dei nuovi compiti; in caso contrario «la riforma si tradurrebbe in un’occasione perduta».
Il professore si sofferma però anche sulla difficile contingenza in cui la legge viene applicata. Da un lato, l’unità sindacale è in crisi. Dall’altra, è un momento di «interventismo giudiziario decisamente orientato alla “correzione” dei precetti normativi». Il caso Fiat dovrebbe essere di lezione. L’obiettivo da perseguire è «evitare “drammatizzazioni” di “bandiera” e ad operare un’applicazione della legge n. 183/2010 coerente con le sue finalità riformiste».