Il referendum di Mirafiori, nel bene e nel male, ha lasciato molti interrogativi aperti, a cominciare dalle prossime mosse di Fiom e Cgil, che ancora ritengono inaccettabile l’accordo approvato dai lavoratori, fino al futuro degli altri stabilimenti Fiat che saranno interessati dal piano Fabbrica Italia di Sergio Marchionne. Ieri, l’amministratore delegato di Fiat ha spiegato che presto anche a Melfi e Cassino verrà proposto il nuovo contratto. Non bisogna poi dimenticare che negli ultimi giorni al centro del dibattito sociale e politico sono ritornati argomenti come la rappresentanza e la democrazia sindacale, oltre alla partecipazione dei lavoratori agli utili delle imprese, che a distanza di diversi anni cercano ancora un approdo nella realtà delle relazioni industriali del nostro Paese. Di tutti questi temi, e non solo, ilsussidiario.net ha discusso con Maurizio Sacconi, ministro del Lavoro.



 

Ministro, dopo il risultato del referendum di Mirafiori ora tocca a Fiat fare gli investimenti promessi. Il Governo si impegna a vigilare affinché Marchionne rispetti gli impegni?

Dopo che l’investimento a Pomigliano è già entrato in una fase irreversibile, dato che i primi atti di spesa sono stati compiuti, ora si tratta di garantire che altrettanto avvenga per Mirafiori. Ovviamente il Governo è impegnato con le organizzazioni sindacali a sollecitare questo investimento, che è molto importante perché avviene su vetture a maggior valore aggiunto, e conseguentemente consolida le funzioni “intelligenti”, quali la ricerca e lo stile, tradizionalmente localizzate a Torino. Non bisogna poi trascurare il rapporto che finora c’è stato tra Marchionne e il Governo.



A che cosa si riferisce?

Marchionne ha cominciato la sua opera in Fiat nel 2004 grazie al ruolo determinante del Governo nel salvataggio dell’azienda, in un momento in cui i sindacati erano bloccati dal veto della Fiom e l’esecutivo è stato costretto a un accordo di programma con Fiat, che poi è stato di fatto accettato dalle organizzazioni sindacali. Negli anni successivi, l’azienda è stata accompagnata dal Governo anche con misure quali i prepensionamenti, gli incentivi, gli ammortizzatori sociali e da ultimo la detassazione del salario di produttività. Non è un caso che la presentazione del piano Fabbrica Italia sia avvenuta a Palazzo Chigi.



A proposito del piano Fabbrica Italia, cosa succederà ora dopo il referendum a Mirafiori? L’amministratore delegato di Fiat ha detto che il nuovo contratto arriverà anche a Melfi e Cassino.

Fabbrica Italia ha indicato la volontà di saturare tutti i siti produttivi italiani di Fiat con i diversi segmenti di prodotto. Dopo Mirafiori, ora si tratterà di continuare a verificare la situazione degli altri singoli siti produttivi. L’importante è garantire che ciascun impianto abbia una mission e possa progressivamente avere i suoi prodotti nei tempi e nei modi che saranno dettati dall’andamento del mercato. Non si può, infatti, lanciare un nuovo prodotto in una fase depressa del mercato.

 

Si augura che le newco di Mirafiori e Pomigliano rientrino in seno a Confindustria?

 

Lo do per scontato. Sono sicuro che il percorso (che lo stesso Marchionne ha ipotizzato) di arrivare quanto prima a un contratto collettivo nazionale condiviso nell’ambito del sistema confindustriale si realizzerà.

 

Susanna Camusso, leader della Cgil, ha ribadito che la Fiom dovrà essere in fabbrica comunque e non esclude di ricorrere alla magistratura contro l’accordo. Cosa ne pensa?

 

Come ho già spiegato, l’accordo non sarà riaperto. Il problema della Cgil resta innanzitutto quello della ricomposizione del suo rapporto con le altre organizzazioni sindacali, premessa fondamentale per le intese con le organizzazioni dei datori di lavoro.

 

Le divisioni tra i sindacati si saneranno?

 

Mi sembra che Cisl e Uil stiano chiedendo alla Cgil di garantire anche per i comportamenti delle organizzazioni a lei affiliate come la Fiom, perché se quest’ultima dovesse continuare a seguire una linea di forte polemica con le organizzazioni dei metalmeccanici di Cisl (Fim) e Uil (Uilm), se dovesse scegliere la via causidica o giudiziaria, è evidente che tutto ciò renderebbe difficile il dialogo e la ricerca di un comune denominatore con le altre organizzazioni sindacali.

 

Resta comunque aperto il tema della rappresentanza sindacale. Se il Pd ha un pronto il suo disegno di legge, il governo continua a ritenere che sono le parti sociali a dover stabilire le “regole”?

 

La posizione del Governo non è contro, ma è quella delle parti sociali. La posizione del Governo si adegua alla volontà comprensibile delle parti sociali di regolare esse stesse i criteri della rappresentanza e del mutuo riconoscimento. Sarebbe davvero sciocco da parte dell’esecutivo contrapporsi alle parti sociali. Allo stesso modo, una legge parlamentare contrasterebbe con la volontà di tutte le organizzazioni, eccetto la Cgil.

 

Lei ha anche rilanciato il tema della partecipazione dei lavoratori, persino agli utili dell’impresa, aggiungendo che in questa materia non servono leggi. Perché?

Perché questa è la volontà delle parti sociali. C’è un documento congiunto sottoscritto da tutte le organizzazioni con il Governo, nel quale le parti si impegnano a individuare linee comuni per lo sviluppo della partecipazione ed eventualmente se lo ritengono (e sinora non l’hanno ritenuto) a sollecitare anche i contenuti legislativi necessari. Anche in questo caso, come in quello della rappresentanza, vale la sussidiarietà nei confronti delle parti sociali. Perché dovremmo legifare a dispetto delle parti sociali, che al contrario chiedono di poter procedere in un dialogo tra di loro nello sviluppo di buone pratiche, impegnandosi a evidenziare e segnalare la necessità di interventi legislativi? Noi abbiamo redatto un codice della partecipazione, riunendo tutto ciò che norme e contratti hanno definito in questa materia, e lo abbiamo messo a disposizione delle parti sociali per lo sviluppo della partecipazione, a partire da quella ai risultati dell’impresa, agli stessi utili dell’impresa.

 

Lei ha anche parlato di fine del compromesso bassa produttività basso salario. Ora che la produttività aumenta, è possibile favorire la crescita dei salari con altre detassazioni?

 

In questo momento c’è già una detassazione di tutte le componenti del salario (straordinari, indennità, premi) che sono conseguenti a un accordo tra parti sulla maggiore produttività. Abbiamo anche alzato per il 2011 la soglia di reddito portandola a 40.000 euro. In questo modo, verranno di fatto compresi tutti gli operai e la gran parte degli impiegati.

 

Negli ultimi mesi si è detto che il Governo, oltre al caso specifico di Fiat, è stato assente anche nell’individuazione di una politica industriale per il paese. Come risponde a queste critiche?

 

A volte si è detto che siamo stati assenti e a volte, da parte degli stessi critici, si è detto che siamo stati troppo presenti, tanto da architettare e favorire la divisione tra le organizzazioni sindacali. La verità è che da un lato il sistema delle relazioni industriali deve essere realmente rispettato nella sua autonomia e quindi il Governo deve mantenere un atteggiamento di rispettosa sussidiarietà, dall’altro lato la cosiddetta politica industriale, come è stato più volte spiegato, non può consistere in una sorta di logica pianificatoria pubblica, che sarebbe davvero antistorica. Se, invece, si vuol dire che la mobilità sostenibile costituisce una prospettiva importante per il nostro futuro, vorrei ricordare che a questo si dedica il ministero dello Sviluppo economico, che esiste un tavolo negoziale dedicato e che recentemente sono stati varati piani di finanziamento per prodotti collegati alla mobilità sostenibile. Esiste quindi una politica pubblica per l’innovazione in questo settore. In ogni caso, è bene ricordare cosa significa realmente politica industriale.

 

Cosa intende dire?

Che la vera politica industriale consiste nel creare condizioni di contesto favorevoli all’impresa, dalle relazioni industriali alla logistica, alle infrastrutture, al costo delle energie, ecc., mentre c’è invece chi ancora ritiene che la politica industriale sia fatti di incentivi e di tradizionali aiuti all’impresa. Oltre ai vincoli della Commissione europea in materia, vorrei ricordare che il Governo ha volutamente lavorato per una logica di meno Stato e più società anche nella politica industriale. Pomigliano ne è stato un esempio, perché la Fiat per realizzare un grande investimento nel Mezzogiorno non ha cercato l’incentivo nel bilancio dello Stato, ma nelle persone che lavorano in quello stabilimento e nelle organizzazioni che le rappresentano. Per questo è stato sottoscritto un accordo per la piena utilizzazione degli impianti, che peraltro porterà a una maggiore produttività remunerata con un incremento salariale.

 

Per rispondere al problema della disoccupazione, in particolare giovanile, lei ha recentemente annunciato una riunione della cabina di regia per verificare l’attuazione del piano nazionale per l’occupabilità giovanile. Quando vedremo i risultati?

 

Domani terremo una conferenza stampa per illustrare ciò che abbiamo fatto, che stiamo facendo e che faremo per rendere quanto più occupabili i nostri giovani, vittime di cattivi maestri, e qualche volta di cattivi genitori, che non li hanno adeguatamente accompagnati nell’acquisire le competenze necessarie nel mercato del lavoro di oggi e di domani.

 

Una parte del problema non potrebbe derivare dal fatto che le imprese sembrano meno disposte a investire sui giovani rispetto al passato?

 

No, non è vero. Le imprese sono disposte e interessate a investire sui giovani, ma hanno bisogno che siano competenti. Inoltre, nel momento in cui la crisi globale ha fatto crollare la domanda di beni e servizi, hanno legittimamente voluto confermare i loro collaboratori esperti.

 

(Lorenzo Torrisi)

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