Chrysler, di cui Fiat detiene il 53,5%, ha raggiunto un accordo preliminare con il potente sindacato Uaw (United Auto Workers). L’accordo, che deve essere adesso siglato dal sindacato stesso, prevede investimenti per 4,5 miliardi di dollari nella produzione di vetture e l’aumento di 2100 posti di lavoro entro il 2015. La Uaw conta 26mila iscritti ed è destinato a essere il primo contratto della casa automobilistica americana dal 2009, quando il governo americano intervenne per salvare dalla bancarotta la fabbrica. Secondo gli esperti, non è un contratto generoso come quelli che proprio recentemente hanno firmato General Motors e Ford sempre con la Uaw, ma ciò dipende dal fatto che la situazione finanziaria di Chrysler è più svantaggiosa delle sue concorrenti.
IlSussidiario.net ha chiesto a Franco Oppedisano, giornalista esperto di automotive, un parere su questo accordo e sulle differenze tra Chrysler e Fiat: “In America ci sono condizioni migliori per un’azienda come la Fiat di quanto non lo siano in Italia. Prospettive migliori di crescita, condizioni migliori di mercato, un miglior rapporto con i sindacati. Ecco perché Fiat è oggi così impegnata, come dimostra questo significativo contratto, negli Stati Uniti. Il Lingotto oggi fa la maggior parte dei suoi utili proprio in quel mercato, non certo in Italia”. Come mai succede questo, come si spiega questa differenza? “In Italia il mercato è molto difficile”, spiega Oppedisano. “La Fiat poi viene da una crisi che si sta rivelando non passeggera, ma strutturale. Oggi si producono in Italia un terzo di vetture in meno rispetto al top prodotto nel 2007. In Italia si può ancora investire, certo, ma a condizioni diverse rispetto a quelle del passato”.
Chiediamo a Oppedisano di approfondire questo passaggio: “Per dirla in modo semplice, una volta si diceva: io ti do posti di lavoro, tu mi dai mercato. Una volta si facevano automobili in Italia in cambio di sovvenzioni. Questo oggi non funziona più: oggi ci vogliono condizioni precise per far sì che una azienda funzioni”. Eppure la Fiat in passato di aiuti e sovvenzioni ne ha ricevuti: “Attenzione sfatiamo un luogo comune, qualcosa che nessuno dice mai abbastanza. L’industria automobilistica è la più assistita del mondo e non solo in Italia, anzi. Aprire una fabbrica in Germania per Volkswagen, Mercedes o Bmw significa scegliere la regione che fornisce contratti locali con più deroghe, siti gratis, agevolazioni fiscali migliori, buone infrastrutture. Solo in Italia si pensa che la Fiat sia stata assistita e tutti gli altri al mondo fanno da soli. Non è vero. Se la Fiat apre in Serbia vuol dire che ha parlato con il governo serbo e ha chiesto di avere delle agevolazioni migliori magari di quelle offerte dalla Polonia”. Aggiunge Oppedisano sull’argomento: “Se non ci mettiamo in testa che questo discorso lo fa tutto il mondo, se continuiamo a fare i puristi che dicono non si può aiutare Fiat, ebbene la perderemo per sempre”.
Tornando all’accordo Chrysler, quanto conta la differenza di impostazione tra sindacati americani e italiani nel raggiungimento di un accordo come questo? “Moltissimo” dice Oppedisano. “I sindacati americani non fanno politica mai, magari appoggiano i candidati presidenziali, ma in modo molto blando. I sindacati americani fanno l’interesse dei lavoratori e anche degli ex lavoratori visto che la Uaw ha anche i pensionati al suo interno. In più il sindacato americano – e così altri sindacati in altre aziende – si è preso con i soldi dei propri associati una quota importante della Chrysler. Ancora oggi oltre il 40% della Chrysler è in mano al sindacato. In America si può avere un rapporto diverso con un sindacato, un rapporto molto meno strumentale ai discorsi politici, molto meno ideologico, molto meno culturalmente marchiato. In Italia è difficile fare un discorso sulla Fiat senza farlo diventare un caso nazionale che viene gestito politicamente”.
Come giudica l’uscita di Fiat dalla Confindustria? “L’accordo fatto da Marcegaglia e sindacati che in qualche modo metteva in dubbio gli accordi di Pomigliano e Mirafiori e per questo non è piaciuto alla Fiat. Poi la Confindustira fa politica non come il sindacato ma quasi. La situazione politica italiana interessa molto poco a Marchionne, se a capo della Confindustria ci fosse un suo uomo tornerebbe, eco cosa interessa a lui. Interessa continuare il rapporto a livello locale dove ha delle fabbriche”. Dunque Marchionne si sente messo all’angolo, nel nostro Paese? “E’ cambiato il modo di vede l’Italia da parte di Fiat: non perché non arrivino più aiuti, ma è cambiata Fiat. Prima faceva il 30-40% di produzione qui e la vendeva in Italia, oggi se dovesse raggiungere l’obbiettivo di vendere sei milioni di macchine in Italia ne venderebbe 600mila, il 10% sul mercato per cui l’Italia perde importanza”. In conclusione, dice Oppedisano, “la strategia di Fiat oggi è interessarsi ad altri mercati: in America, in Cina, in Russia; l’Italia non si lascia perdere ma non è più il suo mercato principale”.