Oggi la Fiom scende in Piazza a Roma a fianco dei lavoratori di Fiat e Fincantieri che hanno proclamato lo sciopero generale. Le tute blu della Cgil denunciano difatti nuovi licenziamenti e chiusure degli stabilimenti. Manca, a loro parere, un vero piano industriale per rilanciare queste due aziende che, anche per l’indotto che realizzano, sono ritenute strategiche per lo sviluppo economico e industriale del nostro Paese. Si chiedono quindi investimenti per prodotti maggiormente sostenibili per l’ambiente e nuove politiche per la mobilità delle merci e dei trasporti. Con particolare riferimento a Fincantieri, i metalmeccanici della Cgil puntano, in particolare, su nuove commesse pubbliche per sostenere l’occupazione e una sorta di “rottamazione” europea delle vecchie navi che solcano attualmente i nostri mari.



Certamente nel nostro Paese vi è oggi la necessità di rilanciare e ripensare una seria politica industriale che faccia da volano alle imprese italiane nel mondo. Tuttavia è antistorico pensare che la ripresa di settori strategici della nostra economia come la cantieristica e l’automotive possano basarsi, in un mercato sempre più competitivo e globale, sull’intervento pubblico. L’epoca dei “panettoni di Stato” è fortunatamente tramontata, ormai da molti anni, anche nel nostro Paese.



La ripresa vi potrà essere, infatti, solo se il sistema Italia, a livello politico, economico, industriale e sindacale, dimostrerà la capacità di realizzare vere riforme strutturali con le quali gettare le basi per un nuovo possibile “miracolo italiano”. A differenza di quanto sostenuto dalla Fiom, il rilancio del Paese passa necessariamente anche dalla costruzione e dal rafforzamento di un modello di relazioni industriali più moderne e partecipative come delineate dall’accordo del 28 giugno scorso e dal successivo intervento inserito all’interno della manovra finanziaria di agosto (richiestoci peraltro anche dalla Bce).



La manifestazione della Fiom suscita, tuttavia, anche un altro tipo di riflessione. I dirigenti Fiom denunciano, infatti, difficoltà organizzative a definire un percorso “sicuro” per il corteo che inizialmente doveva attraversare il centro storico della capitale. La soluzione, frutto forse anche di qualche forzatura, è stata poi individuata in Piazza del Popolo. La manifestazione è diventata, se così si può dire, stanziale.

Legittimamente i recenti fatti dello scorso weekend hanno portato, infatti, le forze dell’ordine e l’amministrazione comunale a muoversi con particolare cautela. Una prudenza che comunque non può e non potrà diventare la normalità. Una società plurale e democratica come quella su cui sono costruite le istituzioni del nostro Paese non può accettare di essere sconfitta da una banda di teppisti portatori di una cultura inaccettabile di morte e violenza.

Questo sarebbe ancor più vero se il dibattito e il confronto sociale e politico avvenisse maggiormente nel rispetto delle persone e delle basilari regole di una democrazia moderna e matura quale è la nostra. È infatti oggi più di ieri valido l’insegnamento volterriano per cui anche se non sono d’accordo con te darei la vita per consentirti di esprimere le tue idee. La paura non deve e non può, infatti, prendere il sopravvento.

Leggi anche

POMIGLIANO 10 ANNI DOPO/ Il contratto buono anche per Landini e ConfindustriaFCA & SINDACATI/ In vista un altro contratto senza FiomFCA E SINDACATI/ La mossa della Fiom per tornare al tavolo con l'azienda