Di fronte ai recenti scontri di piazza a Roma, non possiamo limitarci alla semplice condanna. Perché una cosa è la violenza, la quale va condannata senza se e senza ma, ma altra cosa cercare di capire le ragioni, come ha sottolineato Mario Draghi, delle proteste degli indignati. Non solo: si tratta di andare oltre il solito “occorrese”, cioè le mere indicazioni di principio, la vuota necessità di intervento senza supporti concreti e realizzabili da subito. Proprio in ragione di queste preoccupazioni, vorrei esprimere tutto il mio apprezzamento a Stefano Colli Lanzi, Amministratore delegato di Gi Group, la più grande agenzia italiana per il lavoro, dopo aver letto la sua intervista apparsa su ilsussidiario.net.



Il mio apprezzamento è legato a questa convinzione: noi oggi abbiamo responsabilità inedite nei confronti dei giovani e delle future generazioni. Inedite perché, oltre alla complessità propria dell’adolescenza, noi oggi sappiamo che, volenti o nolenti, abbiamo già scaricato su di loro le nostre contraddizioni. In poche parole: mentre i nostri padri, sacrificando fino al limite le loro vite, hanno investito sui propri figli, contribuendo così a far uscire dalla povertà i nostri territori e creando le basi del nostro benessere, noi abbiamo preferito spostare sul domani la soluzione dei nostri problemi. Un solo dato su tutti: vent’anni fa alla mia età (53) si era già in pensione, oggi so bene che ci andrò, spero, fra 10 anni o poco più.



Proprio per questi motivi, noi tutti dobbiamo delle risposte ai giovani, e le migliori risposte, si sa, restano quello che dicono la verità ma con soluzioni concrete e praticabili. Dispiace, perciò, assistere – sui temi del lavoro, dell’occupazione, ecc. -, da parte di esponenti politici non solo della maggioranza ma anche dell’opposizione, ad analisi e discorsi “di principio”, senza quella concretezza oggi da tutti richiesta, comprese proposte puntuali e con copertura finanziaria, che è l’unica ancella, oggi più di ieri, della domanda di speranza in un futuro possibile. Dobbiamo, cioè, dare noi per primi segnali concreti di speranza, senza il solito “fru-fru” del politichese vuoto e inconcludente. Di destra e sinistra.



Partiamo con Colli Lanzi dal tema del lavoro: i dati relativi alla disoccupazione italiana, ci informa, non sono veritieri, per il fatto che dovremmo conteggiare la cassa integrazione e quei posti di lavoro, in particolare pubblici, che in realtà non sono produttivi, ma solo una forma di distribuzione assistita di stipendi per motivi sociali. Fino a quando le casse pubbliche potranno sostenere queste forme di assistenza sociale? Il nostro welfare sino a che punto potrà sostenersi, con i venti di recessione che conosciamo? Se questa è la situazione, noi possiamo seguire due strade: limitarci alla denuncia massimalista, oppure ripensare davvero il quadro anzitutto normativo del mondo del lavoro, per offrire ai nostri giovani sbocchi reali.

Il primo problema riguarda, per Colli Lanzi, la bassa produttività del lavoro, soprattutto nel pubblico, quella che produce i bassi stipendi. Il secondo riguarda l’iniquità, perché oggi il nostro sistema garantisce i garantiti, cioè protegge sin troppo chi è dentro e penalizza chi è fuori. I giovani ne sono le vittime. In poche parole, il mercato del lavoro è troppo rigido, e la conseguenza è la flessibilità come porta aperta alla precarietà. Cioè non si investe sui giovani, sui loro talenti.

Le aziende, è la sua proposta, devono essere stimolate ad assumere i giovani con contratti a tempo indeterminato, ma questo non può significare inamovibilità, come è oggi. Dallo Statuto dei lavoratori allo Statuto dei lavori, potremmo riassumere, vincolato in sintesi alle competenze spendibili e misurabili. Proprio per questa inamovibilità le aziende oggi preferiscono, molte volte esagerando, contratti a tempo determinato, precarizzando così la sicurezza del lavoro.

A garanzia del lavoratore che è in difficoltà per competenze obsolete, vanno create condizioni reali di formazione sul campo per la sua ricollocazione nel mercato del lavoro. Come in Danimarca: il sussidio di disoccupazione viene garantito solo a chi frequenta corsi di formazione ad hoc. In questo modo, la flessibilità viene a sposarsi col merito, che è il grande assente nel mondo del lavoro italiano. E sarà possibile che i giovani possano essere scelti anche in giovane età senza badare alle attuali rigidità: pensiamo al tema, nella Pubblica amministrazione, dell’anzianità di servizio come criterio unico.

Per le occasioni di lavoro a tempo determinato, suggerisce Colli Lanzi, sarebbe importante investire della loro gestione le Agenzie del lavoro. In un sistema dinamico, alla fin fine verrebbe ridotta la necessità di “contratti a tempo” come surroga di quelli a tempo indeterminato. L’articolo 8 della manovra finanziaria aiuta in questo senso, si chiede il nostro interlocutore? Sentendo diversi attori sociali, mi pare confermata la sua opinione secondo la quale questo articolo rappresenta un’opportunità positiva, nel senso di una sperimentazione sul campo in vista di quella flessibilità “buona” che tutti richiedono, come reale pari opportunità. La cosa positiva, soprattutto, riguarda il previsto accordo delle parti. Una sperimentazione, dunque, in vista di una legge-quadro.

L’accordo del 21 settembre scorso siglato tra Confindustria e sindacati, che, lo sappiamo, ha provocato la nota decisione di Marchionne di lasciare l’associazione degli industriali, rischia però di depotenziare la contrattazione aziendale, ma va letto, per Colli Lanzi, come un passo in avanti rispetto alle rigidità del passato. Nel senso di una spinta a utilizzare maggiormente i contratti di secondo livello. Invece, è l’articolo 11 della stessa manovra finanziaria a creare, secondo lui, qualche problema, per i limiti imposti all’utilizzo dei tirocini. L’augurio è che ci si avvii presto a nuovi accordi sull’apprendistato.

Questo è un punto fondamentale per il futuro occupazionale dei nostri giovani: l’apprendistato non può più essere limitato al solo inserimento, senza una parallela formazione sul campo. Pensiamo solo ai costi di questo apprendistato, ricorda Colli Lanzi: in Germania è al 25% del minimo salariale, in Italia all’80%. Senza una parallela formazione si rischia di vanificare una reale opportunità di crescita per il lavoratore. Riformare perciò l’apprendistato e i tirocini significa rendere effettivo e qualitativo l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro. Il quale necessita oggi di poche regole chiare e applicabili da tutti, ma con la possibilità di contrattazioni aziendali a integrazione della cornice nazionale.

I giovani di oggi hanno capito una cosa, più di noi: che l’occupazione e l’occupabilità indicano percorsi diversi. Noi dobbiamo puntare sull’occupabilità, secondo l’intera filiera formativa, non garantire solo l’occupazione. La crisi ci sta, per questi motivi, sembra dire il nostro autore, portando alla riscoperta del lavoro, come recita l’articolo 1 della nostra Costituzione, non come una delle nostre tante attività quotidiane, ma come il bisogno fondamentale, attraverso il quale ci realizziamo come persone, come famiglia, come società.

Per questo, viste le contraddizioni ancora non risolte, al di là di destra e sinistra, abbiamo delle responsabilità inedite nei confronti delle nuove generazioni.