Le bare bianche. Le rose bianche. I fiori gettati per strada, sulle macerie di un palazzo che ha sepolto cinque giovani vite. La gente, in lacrime, in silenzio, a scuotere il capo. Addolorata e rassegnata, a ripetere che non si può morire così. Lo diciamo ogni volta quando le morti sul lavoro aprono squarci impensabili di degrado e di miseria, ma anche di caparbia lotta per vivere, di fatica indefessa per sognare un futuro, per non tirarsi indietro, anche quando è più dura. Quattro donne, una ragazzina. Ore a cucire, a tessere fili di lana, per quattro euro l’ora. Mio figlio fa i conti: ci si comprano due coca cole. Appunto. C’è qualcosa da imparare.
Se il lavoro è parte importante della dignità dell’uomo, questa dignità ha un prezzo, va rispettata, retribuita il giusto. La giusta mercede agli operai. Altrimenti, è un delitto, e un peccato. Vanno insieme le parole del vescovo di Barletta e delle autorità civili.
Il vescovo, suona più sincero ed essenziale, perché certe tragedie si possono prevenire. Si salta la festa del paese, l’estate insieme, la sagra, il centro sportivo. Si mettono in sicurezza gli edifici, prima, per tempo. Dunque il compianto appare condito di retorica, preferiremmo vederli sfilare tutti, politici e sindacalisti, ma zitti, a guardare e cogliere negli sguardi, in chi non ce la fa a reggere, e si accascia per via, il senso di quel che è successo e non doveva succedere.
La rabbia, è normale. Perché il senso di abbandono, l’assenza dello Stato, si capiscono da qui, da queste case fatiscenti che nascondono storie spezzate, dal grido più agghiacciante, della donna che si è salvata, e dal suo letto d’ospedale si dispera: chi mi darà un lavoro, adesso? Come dire: era terribile, ma era l’unico, ora sarà peggio.
Ci si abitua, alla vita da schiavi, se non c’è riscatto visibile, non per la società, non per il Sud, non per le donne. Per me, per ciascuno. La società? Ma quante denunce per le morti bianche, ogni anno, restano inascoltate o raccolgono stentorei lamenti. Il Sud: sì, lavorare è più difficile, ma la Thyssen Krupp stava a Torino, e ha lasciato dei morti anche lassù. Le donne: vero, spesso lavorano il doppio, sono sottopagate, hanno meno diritti. Ma se erano uomini cambiava qualcosa?



Avremmo avuto un altro ministro ai funerali, quello del Lavoro al posto delle Pari Opportunità. Invece, il riscatto è possibile, lo testimoniano le tante piccole imprese che nascono, testardamente, timidamente, ma prosperano, sgomitando tra cavilli di burocrazia , criminalità e pregiudizi. Il prestito d’onore: Madre Teresa ha cambiato la vita di tante ragazze indiane, che stavano peggio che a Barletta. Le energie ci sono, e forse basterebbe allo stato garantire controllo e sicurezza, e lasciare che al lavoro e ad aiutare la gente ci pensi di più chi ha testa, volontà e cuore. Si chiama sussidiarietà. 
L’indignazione, le polemiche: ma a chi gridare, se uno degli indagati, uno degli aguzzini dunque, piange sua figlia bambina, che passava tanto tempo in maglieria, che aveva trovato nelle vittime più grandi delle sorella da seguire? 
Sulle macerie, ha ricordato il vescovo, si stagliano due crocifissi. Qualcuno ha posto tra i fiori un’immagine della Madonna di Fatima. “Prego per voi”, ha detto oggi il Papa, e qualsiasi parola è di troppo, anche per la fede. Il significato di un lutto così grande c’è, deve esserci, e scopo della vita di ognuno è trovarlo. Ma non piazzatevi davanti alle telecamere a darci lezioni o a far prediche. 
Oppure immaginate di parlare a quel papà che ha scavato con le sue mani, per trovare il corpo della mamma di sua figlia, di soli due anni, alle mamme che dovranno asciugarsi le lacrime, e tornare a lavorare, domani. Oggi è morto Steve Jobs. Ci ha commosso, è un tipo all’italiana, di quegli italiani che hanno fatto dei sogni la realizzazione delle loro vite. 
Siate affamati, siate folli, aveva spronato gli allievi di Stanford in un memorabile discorso. Il motto della sua vita. A troppi giovani del nostro paese viene tolta, poco a poco, anche la fame, di giustizia, bellezza, felicità. Questo scandalizza, questo ci interroga e ci impegna, tutti.

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