Per fregiarsi a pieno titolo dell’attributo di salvatore della patria, come da più parti viene già salutato, sembra che Mario Monti non potrà fare a meno di toccare le pensioni. La materia è delicatissima, e un inciampo è l’incidente minimo che gli possa capitare. Si tratta di una partita, infatti, in cui tutti hanno qualcosa da perdere. Il governo, le imprese e, soprattutto, i lavoratori. «Va da sé che la premessa di qualunque disegno di riforma dovrà essere un patto sociale», spiega, raggiunto da ilSussidiario.net, Walter Passerini, vice direttore della scuola di giornalismo Walter Tobagi. Tra le misure cui il nascituro governo Monti si accinge a lavorare, vi è un meccanismo di incentivi e disincentivi tali per cui chi andrà in pensione prima avrà un assegno ridotto, chi andrà più tardi godrà di una sorta di bonus. L’ipotesi più accreditata fissa l’età minima a 62 anni, la massima tra i 67 e i 70. Che andare in pensione più tardi convenga, tuttavia, non è una novità. Ma chi lo spiega alle aziende?  



Queste, nella maggioranza dei casi, infatti, tendono a mandare via il lavoratore il prima possibile. E, se possono farlo, non ci pensano due volte. «Per questo, prima di mettere mano alle pensioni, è necessario che si giunga a un accordo tra governo, imprese e sindacati», continua Passerini. «Le aziende si devono impegnare, anzitutto, a non chiedere ai lavoratori di andare anticipatamente in pensione». Ma, a questo punto si complica il problema dell’accesso al mercato del lavoro. Anzitutto, per chi ne è uscito anzitempo. «Contestualmente, infatti, si deve pensare a una soluzione per quelle centinaia di migliaia di over 50 che hanno perso il posto e che hanno una quota contributiva di 30-31 o 32 anni e rischiano, in questo momento, di essere i più penalizzati. Occorre per loro mettere a punto ammortizzatori sociali e percorsi di re-ingresso». Poi, c’è chi nel mondo del lavoro, non ci ha ancora messo piede. O tenta di farlo, ma deve barcamenarsi all’interno della costellazione dei contratti parasubordinati. «Il governo – aggiunge Passerini  – deve anche promuovere un sistema di detassazione per le aziende che assumono giovani e donne. Se tutte queste misure saranno contemplate, allora il meccanismo della “forchetta”, con decurtazioni e premi  a seconda dell’età in cui si decide di andare in pensione, può funzionare».



Anzi, Passerini è convinto che si tratti di «uno dei provvedimenti da cui la riforma  delle pensioni non può prescindere». L’importante, è che il nuovo esecutivo si muova con i piedi di piombo. Senza lasciar passare un’eternità. «La riforma si può varare entro la primavera del 2012. Non si può fare in un mese, certo; ma non c’è  motivo per lasciar passare più tempo. Tuttavia – conclude -, l’urgenza di adesso riguarda il debito pubblico. Va ribadito che pensare di far cassa toccando le pensioni sarebbe un gravissimo errore».  



 

(Paolo Nessi)

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