Aumento dell’età pensionabile, sino all’eliminazione del criterio di anzianità, introduzione per tutti del sistema contributivo, grazie al “contributo pro rata” e un meccanismo di premi e penalizzazioni a seconda della finestra di uscita. Sono alcuni dei punti dai quali il futuro governo tecnico guidato da Mario Monti non potrà prescindere. «Si tratta di una serie di provvedimenti ineludibili. Ma il governo dovrà saper spiegare ai cittadini e ai lavoratori anziani la ragione dei sacrifici cui dovranno andare incontro», afferma, interpellato da ilSussidiario.net Luca Spataro, docente di Economia Politica presso l’Università degli Studi di Pisa. Si parla, in effetti, addirittura, di “quota cento” (a tanto dovrà arrivare la somma tra gli anni di contributi versati e l’età anagrafica). «Una cifra, a dire il vero, eccessiva. Saremmo, del resto, gli unici in Europa», continua Spataro.
«Il vero problema è che con la riforma Dini si è prodotta una discriminazione tra generazioni. Con il sistema contributivo pieno, infatti, andranno in pensione solo coloro che hanno iniziato a lavorare dal 1995. Tutte le generazioni precedenti, invece, continueranno a beneficiare del calcolo retributivo che, di fatto, fornisce regali in termini attuariali». Il motivo di un tale divario è legato ai criteri adottati per il calcolo dell’assegno: «Il sistema retributivo, infatti, determina la pensione sull’insieme complessivo dei contributi versati senza, tuttavia, tener contro dell’allungamento della speranza di vita. Cosa che, invece, fa il metodo contributivo». Per sanare il gap, Monti pare intenzionato a introdurre il cosiddetto “contributivo pro rata”. «Si tratterebbe di una redistribuzione del carico pensionistico. È la soluzione più solare. Significa che i contributi sin qui maturati dal lavoratore, se calcolati su base retributiva, resteranno tali; ma, da qui in avanti, entra in vigore per tutti il sistema contributivo. Per alcuni, quindi, si andrà incontro a un sistema misto».
La ragione all’origine della riforma ipotizzata è la seguente: «Non basta mandare in pensione la gente più tardi. Per quei lavoratori che dovessero continuare a mantenere il sistema retributivo si verificherebbero una serie di privilegi che graverebbero sulle nuove generazioni». Un altro meccanismo allo studio è quello della “forbice”. «È necessario – spiega – introdurre delle penalizzazioni inversamente proporzionali all’età di pensionamento. Prima si va in pensione e maggiore sarà la penalizzazione».
La premessa di qualunque riforma, deve essere la consapevolezza dei cittadini delle sue motivazioni. «Il governo dovrà far capire ai lavoratori anziani che rinunciare a una pensione più ricca favorisce lo sviluppo e il benessere delle generazioni più giovani; se fosse chiaro questo accento di redistribuzione intergenerazionale delle risorse, con evidenti benefici per famiglie, precari o disoccupati giovani, si tratterebbe, probabilmente, di un sacrificio più accettabile». I benefici sottratti alle pensioni, quindi, dovrebbero favorire tali categorie. «Oppure, dovrebbero essere utilizzare per implementare la crescita e lo sviluppo. Tagliare le pensioni, senza prevedere una “destinazione d’uso” per le risorse reperite, non sarebbero accettabile».