Il Governo Monti si prepara a una riforma delle pensioni e gli italiani sembrano aver paura. “Pro rata contributivo“, eliminazione della pensione di anzianità, penalizzazioni. Adesso, pure la scrematura delle pensioni di reversibilità e di anzianità. Ce n’è abbastanza per farsi cogliere dal panico. Tuttavia, Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro e senatore del Pd, spiega a ilSussidiario.net che «non c’è nulla, in realtà, di cui preoccuparsi». Eppure i lavoratori di una certa età si preoccupano. Vogliono sapere a quanto ammonterà la propria pensione.
«Evitiamo gli allarmismi – continua Treu -: il calcolo dei contributi pregressi non viene scalfito, c’è un incentivo ragionevole a restare al lavoro 2 o 3 anni in più e i lavori usuranti continueranno a essere considerati tali». Il senatore chiarisce una serie di concetti: «Il “pro rata contributo”, di fatto, per quei lavoratori la cui pensione, attualmente, è calcolata con il sistema retributivo, non cambia granché. Gli anni che gli restano da lavorare, sui quali sarà applicato il regime contributivo, infatti, sono ben pochi. La variazione, per costoro, quindi, sarà minima». In effetti, il retributivo, a oggi, si applica a coloro che al 31 dicembre del 1995 avevano maturato almeno 18 di contributi. Al 31 dicembre 2011, mal che vada, avranno maturato 34 anni di contributi.
«C’è da considerare anche il fatto che, laddove la carriera di un lavoratore non dovesse subire variazioni, non ci sarà alcuna riduzione». In realtà, alcuni paventano l’ipotesi della retroattività. «Anche qui, occorre sgomberare il campo dagli equivoci. Gli anni trascorsi, calcolati con il sistema retributivo, rimarranno tali. Il contributivo si applicherà unicamente agli anni da qui a venire». Altro fantasma da esorcizzare, l’età in cui si andrà in pensione. Giusto ieri, Treu ha presentato una proposta assieme a Enrico La Loggia (Pdl), Linda Lanzillotta (Api), Walter Vitali (Pd) e Mario Baldassarri (Fli); «un’iniziativa “tripartisan”», ci tiene a sottolineare, che concretizza la ipotesi si qui ventilate e che vanno per la maggiore.
«L’idea è quella di introdurre un meccanismo flessibile, che contempli una fascia che va dai 62 ai 69 anni (o anche dai 63 ai 70, se ne può discutere), introducendo premi per chi smette di lavorare dopo i 65 e una piccola penalizzazione per chi smette prima». Il provvedimento sortirebbe un duplice effetto: si abolirebbe, di fatto, la pensione di anzianità e si manterrebbe il principio della volontarietà». È notizia di oggi, infine, la proposta di modificare al ribasso pensioni di reversibilità e invalidità. «Per quanto mi riguarda, c’è già troppa carne al fuoco. La materia è complicata, i passi da fare vanno studiati e mi sembra che le priorità siano altre».