La riforma delle pensioni, attraverso l’introduzione del sistema contributivo pro-rata, sta creando non poche apprensioni agli italiani, specialmente perché dopo diversi giorni di voci e rumors, ancora nessun provvedimento vero e proprio è stato messo sul tavolo dal parte del Governo. Quel che è molto probabile è che la riforma dovrebbe portare all’abolizione della cosiddetta “finestra mobile”, che aveva portato a un tempo di attesa di dodici mesi (diciotto per i lavoratori autonomi) per l’erogazione effettiva della pensione dal momento in cui si lascia il proprio lavoro. Inoltre, coloro che ancora sono sotto il regime retributivo (cioè coloro che al 31 dicembre del 1995 avevano almeno già 18 anni di contributi) dovrebbero passare al contributivo dal 1° gennaio 2012. Avrebbero quindi una parte della pensione determinata attraverso il sistema retributivo (che sarebbe la maggioranza del totale, visto che dovrebbero essere almeno 34 anni di contributi) e un’altra parte calcolata con il contributivo. È questo il concetto nascosto dietro la parola “pro-rata”.
Chi può cercherà quindi di andare in pensione entro la fine dell’anno, in modo da mantenere solamente il più redditizio sistema retributivo (che, ai fini del calcolo dell’importo dell’assegno di pensione, prende in considerazione la retribuzione degli ultimi dieci anni). Per gli altri, vale un semplice discorso: più è vicina l’età del pensionamento, minore saranno le “perdite” rispetto al sistema retributivo secco. Ma attenzione: chi ha superato i 40 anni di contributi potrà avere dei vantaggi dal pro-rata. Infatti, nel retributivo gli anni di contributi oltre i 40 non vengono “valorizzati” come invece avverrebbe nel caso del contributivo. In questo caso, se si resta al lavoro si potranno poi avere dei vantaggi sulla pensione.
A proposito di chi ha 40 anni o più di contributi, resta aperta la domanda sul destino delle pensioni di anzianità. Oggi infatti, basta aver lavorato per 40 anni per andare in pensione indipendentemente dall’età. E già in estate si erano creati attriti nella maggioranza di governo sull’ipotesi di fissare almeno un’età minima per il pensionamento, cui la Lega Nord era contraria. Su questo punto ancora il Governo Monti non si è espresso.
In ogni caso, l’età di pensionamento andrà man mano alzandosi nel corso degli anni e la riforma potrebbe innalzare il range stabilito nel 1995 (57-65 anni) a 62-68 anni, se non addirittura a 63-70. Fasce che andrebbero a crescere grazie al mantenimento dell’adeguamento dell’età minima di pensionamento alle aspettative di vita. Questo vuol dire che già dopo il 2030, l’età minima sarà superiore ai 65 anni. Dovrebbe essere consentito andare in pensione prima dell’età minima richiesta, ma con una diminuzione del trattamento pensionistico commisurato all’effettivo anticipo richiesto. Ci sarà invece una sorta di “bonus” che andrà ad aumentare l’importo della pensione di chi deciderà di restare al lavoro oltre l’età massima indicata.