Il governo Berlusconi, nel bel mezzo della crisi (quella precedente), aveva annunciato che anche i lavoratori precari avrebbero potuto accedere agli ammortizzatori sociali. Pochi soldi, in realtà, ma sempre meglio di niente: 200 euro al mese. Tuttavia, a tali risorse, in scadenza a fine anno, è riuscito ad accedere solo il 17% di chi aveva contratti parasubordinati. Almeno, stando a quanto denuncia la Cgil. «La vicenda, al ministero del Lavoro, è abbastanza conosciuta. Riguarda fondi stanziati a partire dal 2009. Occorre, tuttavia, capire se la i dati non facciano emergere una situazione che, in realtà, è meno peggiore di quanto sembri», afferma, interpellato da ilSussidiario.net Emmanuele Massagli, vicepresidente di Adapt.  Sta di fatto, che sono stati esclusi, ad esempio, i co.co.co, i co.co.pro. che l’anno precedente alla richiesta avevano avuto un reddito inferiore ai 5.000 euro, i co.co.pro. che non avevano versato almeno 3 mesi di contributi nell’anno precedente e uno in quello di corso e quelli che avevano una sola committenza. «La norma sulla monocommittenza – continua Massagli – è animata dalla logica contenuta nella proposta di legge firmata da Tiziano Treu e Pietro Ichino, secondo la quale si cerca di superare la distinzione tra lavoro subordinato a monocommittente. Infatti, dietro un lavoratore che ha un contratto a progetto o una partita Iva dipendente da un unico datore, in genere, si nasconde un rapporto lavorativo di natura subordinata. Più conveniente per il datore di lavoro e molto meno per il lavoratore».



Secondo Massagli, inoltre, il fatto che pochi lavoratori precari fossero riusciti da accedere ai fondi stanziati, può significare «che sono pochi i precari che sono effettivamente tali». Va fatta, in sostanza, una distinzione tra chi è precario e chi non ha mai o quasi mai lavorato. «La nostra legislazione ha sempre inteso continuare a mantenere la caratteristica assicurativa degli ammortizzatori sociali. Tali per cui si riceve nella misura in cui si è dato. In caso contrario, non si può più parlare di ammortizzatori, ma di sussidio o di indennità di disoccupazione. La Cgil chiede di slegare gli ammortizzatori dagli effettivi contributi versati; oltretutto, in questo caso, la richiesta era veramente minima». Resta da capire come disporre delle risorse non utilizzate che ammonterebbero a 166 milioni di euro.



«Monti – spiega Massagli – deve pensare se vale la pena continuare a investire in politiche per il lavoro passive, come gli ammortizzatori sociali; o – se effettivamente ci sono e sono utilizzabili-, non convenga investirli in politiche attive. Ovvero, di incentivazione e di incoraggiamento all’occupazione». Questo, nel concreto, significherebbe «sgravare fiscalmente le assunzioni dei giovani, investire sul ricollocamento dei disoccupati e destinare risorse alla formazione all’interno dei contratti precari». 

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